
Ogni maledetta domenica, col 4. Ancora una volta è quel numero ad essere - suo malgrado - fatale per Matteo Renzi. Dal 4 dicembre 2016 alle elezioni del 4 marzo, la strada del segretario uscente del Partito democratico è stata costellata di difficoltà.
Tra queste, la scissione di febbraio 2017 con la nascita di 'Articolo 1 - Movimento democratici e progressisti (lanciato da Roberto Speranza, Enrico Rossi e Arturo Scotto) e l'addio al Pd di Pietro Grasso dello scorso ottobre, fino ad arrivare al pesante k.o. di domenica scorsa che ha visto il Pd arrivare sotto la soglia del 20% (sia alla Camera che al Senato).
Tornando a due anni fa, a quell'inizio dicembre, gli italiani bocciano la riforma costituzionale sostenuta dall'allora presidente del Consiglio che - a seguito del risultato - decide di lasciare Palazzo Chigi.
REFERENDUM - In base ai dati del Viminale il NO ottiene il 59,96% (pari a 19.026.617 di voti) contro il 40,04% dei SÌ (pari a 12.708.172 di voti), con un'affluenza che si attesta al 68,48%.
POLITICHE - Per quanto riguarda i dati di domenica scorsa, invece, il Partito democratico ottiene 5.768.101 voti (pari al 19,12%) al Senato e 6.134.727 voti (pari al 18,72%) alla Camera.
ROMA - Ritornando invece all'elezione del sindaco di Roma del 5 giugno 2016, qualche mese prima del referendum, nella Capitale il Pd (che sostiene la candidatura di Roberto Giachetti) ottiene il 17,19% contro il 35,33% del Movimento 5 Stelle, con Virginia Raggi che viene eletta sindaca.
EUROPEE - Per quanto riguarda il momento migliore per i dem, da quattro anni a questa parte, bisogna tornare alle europee del 25 maggio 2014 quando il Partito democratico tocca il 40,82% (pari a 11.172.861 voti) doppiando in quel caso sia il M5S (che ottiene 5.792.865 e il 21,16%) che Forza Italia (con 4.605.331 voti e il 16,83%).