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Il linguista Antonelli: "La grammatica è glamour, insegnanti giochino con le parole"

Intervistato dall'AdnKronos lo studioso presenta il suo ultimo libro 'Il Mago delle parole" in cui suggerisce un metodo fuori dagli schemi per rendere materie, apparentemente polverose, affascinanti come una caccia al tesoro

Il linguista Antonelli:
28 gennaio 2025 | 16.50
LETTURA: 4 minuti

Un modo di insegnare giocoso, fantasioso, brillante. Fuori dagli schemi ma legato alla realtà in cui vivono i nativi digitali. Moderno e inedito. Un saggio narrativo che indica una via nuova per rendere materie, solo apparentemente polverose, affascinanti come una caccia al tesoro. Un viaggio alla scoperta dell'origine delle parole di tutti i giorni e delle regole grammaticali che stabiliscono il funzionamento della nostra lingua. Ma, allo stesso tempo, un suggerimento a tutti gli insegnanti per rendere le ore in aula più piacevoli e produttive: la scuola dovrebbe "spiazzare" gli allievi facendoli incuriosire. Giuseppe Antonelli, ordinario di storia della lingua italiana all'Università di Pavia, affida questi propositi al suo ultimo libro 'Il mago delle parole' pubblicato da Einaudi.

Qual è la sua ricetta e il consiglio che si sente di dare agli insegnanti che leggeranno il suo libro? "Cercare di fare leva su un elemento di divertimento, di ironia, di gioco, di passione, di sfida sparigliando le carte. Lo scopo è semplice: far capire che la grammatica non è noiosa ma, al contrario, è una grande figata, è glamour. Il libro è uno dei tanti modi per raccontare la storia della lingua italiana e alcuni aspetti della storia delle parole. Ci sono dei capitoli sulle strutture grammaticali, sugli accenti. E' uno dei tanti modi per affrontare l'ora di italiano. E' chiaro che quello riportato nel libro è un modo favolistico di insegnare. Però mi piacerebbe che, a leggere questo testo oltre ai ragazzi e alle ragazze e per certi versi prima di loro, fossero gli insegnanti. Mi piacerebbe che il libro permettesse alle persone che insegnano a scuola e che fanno un lavoro durissimo, sottopagato, socialmente sottostimato, di tornare in aula con uno spirito nuovo".

Nelle sue pagine ha tratteggiato la figura di un maestro davvero particolare che riesce ad attirare l'attenzione dei suoi allievi. A chi si è ispirato? "Volevo raccontare lo stupore e la magia di incontrare un maestro inteso come una figura che, a un certo punto della tua vita, monopolizza la tua attenzione e ti indica una strada". Per realizzare questo progetto, avevo bisogno di mettermi dalla parte degli studenti. Non potevo scrivere un saggio perché non avrebbe reso l'emozione che volevo trasmettere. Ho pensato a uno studente timido, impacciato, insicuro come sono gli allievi tra l'ultimo anno delle medie e i primi anni delle superiori. La mia proiezione è la voce narrante. Il professore che descrivo è quello che avrei sempre voluto avere: è l'insieme del professor Keating dell''Attimo Fuggente' o del mio allenatore di atletica. C'è sicuramente qualcosa di Luca Serianni, che è il mago delle parole che ha cambiato la mia vita. Il suo carisma era basato su una straordinaria misura e su uno straordinario understatement. Era una persona fuori dal comune, un grandissimo maestro, un didatta che trasmetteva tantissimo attraverso l'insegnamento. Tutto il resto è frutto della fantasia. E' un professore che compie anche scelte radicali: non mette mai i voti ma, alla fine dell'anno, scrive dei giudizi in forma di sonetti legati a una forma di incoraggiamento. La fantasia è legata a un atteggiamento che a me piacerebbe ci fosse sempre in chi insegna: la volontà di spiazzare. Credo che sparigliare sia un ottimo modo per attirare l'attenzione di ragazze e ragazzi che sono sempre più distratti e distratte".

Il suo professore adotta delle strategie specifiche? "Una delle tecniche che usa è quella del maestro 'zen'. Un insegnante che pone ai suoi allievi un quesito che sembra assurdo. Una domanda che crea negli studenti un meccanismo di riattivazione. Mi piacerebbe che questo fosse un libro che potesse riattivare dei contenuti che, presentati in forma saggistica, rischiavano di rimanere statici. Ho voluto costruire anche una relazione fondata sul dialogo e sul confronto tra il professore e gli studenti. Un elemento che manca molto nel metodo di insegnamento al quale siamo abituati in Italia è la capacità di dialogare con i ragazzi. Nel libro, invece, c'è sempre un controcanto dialogico rappresentato, peraltro, in un italiano vero. Questo perché l'unico italiano vero che tutti noi parliamo in una situazione di spontaneità è venato di elementi regionali. Per dare credibilità al confronto ho scelto l'italiano di Roma".

Valutando lo stato di salute della lingua, c'è qualcosa che la preoccupa? "Molti italiani non sono in grado di comprendere il senso di un editoriale. Si tratta dell'analfabetismo funzionale. Continuano ad arrivarci dati Ocse in cui si dice grosso modo che un terzo della popolazione, formata non solo dai giovani ma anche purtroppo dagli adulti, fatica fino in fondo a capire cosa c'è scritto in un articolo di giornale. Gli strumenti che utilizziamo per comunicare, compresi i social, stanno creando una frantumazione del testo. Ci stiamo disabituando quindi - non solo noi che veniamo da una testualità scritta tradizionale ma anche chi è nato in questo mondo, cioè i cosiddetti nativi digitali - a un testo che abbia una struttura composta". (di Carlo Roma)

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