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Ucraina, generale Di Grazia: "Pace possibile con soluzione coreana e congelamento conflitto"

Il Papa, Macron e gli Usa: pesi diversi nella riconosciuta 'impossibilità di continuare a combattere'

Il generale Biagio Di Grazia è autore del recente volume 'La Nato nei conflitti europei. Ex Jugoslavia ieri, Ucraina oggi
Il generale Biagio Di Grazia è autore del recente volume 'La Nato nei conflitti europei. Ex Jugoslavia ieri, Ucraina oggi" (Edizioni Delta 3).
20 marzo 2024 | 17.45
LETTURA: 4 minuti

C'è una relazione tra la dichiarazione di Papa Francesco, che citava l’immagine della 'bandiera bianca' da parte dell’Ucraina come strumento per accedere a un negoziato con la Russia ponendo fine alla guerra, e le dichiarazioni del presidente francese Macron che "non esclude" l’invio di reparti francesi in Ucraina per combattere a fianco delle truppe di Kiev? "La relazione esiste e riguarda due fattori -spiega all'Adnkronos Biagio Di Grazia, generale di Divisione in pensione, già vicecomandante del Contingente italiano in Bosnia e addetto militare a Belgrado- In primo luogo le dichiarazioni sembrano ambedue 'pensate' e variamente 'concordate' all’interno della propria sfera di influenza. L’intervista del Papa risale a qualche settimana fa, e vi sarebbe stato tempo e modo di variarla o emendarla. Quanto al Presidente francese, una tale uscita che non fosse non concordata in ambito occidentale è impensabile".

Le parole del Pontefice sono state oggetto di indignazione e critiche fino all'accusa di 'putinismo', come se si trattasse di una legittimazione dell’invasione russa e delle pretese russe sui territori ucraini. "Il Segretario di Stato Vaticano Parolin ha cercato di smussare il significato di 'bandiera bianca' spiegandolo in quanto metafora. Ben pochi tuttavia hanno rilevato che alla bandiera bianca è storicamente associato il senso di 'venire in pace' e disarmati, che non implica consegnarsi al nemico. Personalmente ritengo però che l’interpretazione sia proprio quella che risalta dai termini senza alcuna variazione, cioè che l’Ucraina dichiari la propria sconfitta. Il Giappone si arrese ed espose bandiera bianca quando capì che la potenza atomica americana l’avrebbe distrutta alla radice. I tedeschi a Stalingrado ricevettero ordine di non indietreggiare di un metro e furono spazzati dai sovietici".

"In secondo luogo -prosegue Di Grazia, che è stato anche consigliere dell'Ambasciatore italiano per i problemi della Sicurezza e Difesa Comune Europea- le due dichiarazioni delineano la stessa diagnosi del conflitto, 'l'impossibilità di continuare a combattere', ma con prognosi diverse: il Papa propone di 'sedersi al tavolo della pace'; Macron, invece propone di 'intervenire direttamente con truppe combattenti su suolo ucraino; insomma una promuove la pace, l’altra promuove la guerra". (segue)

Chi promuove la pace, chi la guerra, chi si sta smarcando

Dunque qual è la soluzione possibile del conflitto? "E' lo stesso territorio di combattimento a suggerire quella più idonea: mai il fronte è stato più stabile; dopo mesi di lotta politica interna tra Zelensky e le autorità militari, che da tempo proponevano il passaggio all’azione difensiva, i due schieramenti sono ormai ambedue difensivi, invocano una tregua e un compromesso che tutti classificano come 'modello coreano'. Nessuno vince, nessuno perde, tutti e due hanno motivo di sperare in un futuro che soddisfi le proprie rivendicazioni. Il conflitto si congela sulle rispettive posizioni raggiunte; il seguito passa alla diplomazia".

Che guerra immagina il presidente Macron a supporto dell’Ucraina per raggiungere la vittoria: guerra nucleare o convenzionale? "Anche se in una dichiarazione, il Presidente francese ha evocato la disponibilità autonoma della 'Force de Frappe' nucleare, l’orientamento sembra quello di ingaggiare il confronto con i russi facendo leva su forze convenzionali europee. L’Italia, per bocca del ministro degli Esteri Tajani ha risposto: 'non se ne parla nemmeno di inviare truppe in Ucraina'".

Ci si chiede tuttavia se questa posizione sarà ancora salda nel caso che Francia, Polonia, Germania, Inghilterra, Paesi Baltici e Scandinavi attivino un confronto, rivolgendosi all’Italia. "Non sarebbe la prima volta che l’Italia si 'associa' a cose fatte e decise da altri: Libia, Iraq e Afghanistan ce lo insegnano. Ma si trattava di altri tempi e diverse circostanze con l’America che sosteneva gli alleati. Adesso non sembra intenzionata a proseguire nell’avventura ucraina, né a confrontarsi con la Russia. Quindi è fuori, mentre la Francia rivendica una leadership europea". (segue)

'Non siamo in grado si sostenere un coinvolgimento sul suolo ucraino'

Sgombrato il campo da ipotesi di conflitto atomico a guida americana -che ci vedrebbe coinvolti, ospitando noi un discreto numero di ordigni nucleari americani su suolo nazionale (Aviano, Ghedi, Sigonella)- saremmo in grado di sostenere un coinvolgimento sul suolo ucraino delle nostre Forze Armate? "Occorre riferirsi a quanto insegna il conflitto in Ucraina, dove si confrontano due eserciti nazionali in una lotta del tipo 'simmetrico' (contrariamente a quanto accade a Gaza, dove il conflitto è 'asimmetrico'), con due milioni di soldati sul campo, variamente divisi tra i due contendenti e modernamente attrezzati".

"Noi non abbiamo i numeri quanto a personale combattente, assetti logistici e materiali per entrare nel confronto. D'altra parte occorre ammettere che la stessa risposta dovrebbero darla molte altre nazioni europee (compresa la stessa Francia) che, come noi, da 40 anni si addestrano al 'peacekeeping' e non alla funzione 'combat'".

Come risolvere allora il problema in caso di un nostro coinvolgimento forzato o indotto a combattere in Ucraina? "Con la leva obbligatoria per chiamare alle armi almeno mezzo milione di giovani, addestrarli, fornire loro gli assetti necessari per condurre una battaglia in un clima operativo moderno. La leva non è stata abolita nel 2005, ma semplicemente sospesa. C'è la volontà politica di assecondare questo obiettivo? Ci sono le risorse economiche e i presupposti sociali con cui indurre i nostri giovani a non evocare l’obiezione di coscienza o a disertare la chiamata? Domandiamoci anche per chi e per cosa occorra fare tutto questo". (di Rossella Guadagnini)

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