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Ristoratrice Lodi, la macchina del fango dei social network (e dei media)

Giovanna Pedretti non è Chiara Ferragni, quanto pesano il consenso e la gogna post dopo post

La pizzeria di Sant'Angelo Lodigiano
La pizzeria di Sant'Angelo Lodigiano
15 gennaio 2024 | 13.31
LETTURA: 3 minuti

I social network danno e tolgono, oscillando rapidamente tra macchina del consenso e macchina del fango. I like e l'aumento dei follower producono legittimazione e, quando va particolarmente bene come nel caso di Chiara Ferragni, anche guadagni milionari. Al contrario, i commenti negativi diventano rapidamente gogna pubblica, con la moltiplicazione degli insulti a fare da combustibile a una massa critica facilmente infiammabile. Lo dimostra un caso di cronaca, quello di Giovanna Pedretti, ristoratrice di Lodi titolare della pizzeria Le Vignole. Finita sotto i riflettori per un post pubblicato e contestato sui social, perché nato da una falsa recensione omofoba 'smascherata' da Selvaggia Lucarelli, è morta con una dinamica che al momento suggerisce l'ipotesi del suicidio. Il tema di fondo è la gestione della reputazione, che sui social network può essere costruita e persa a grandissima velocità.

Il giudizio degli altri, la gestione del consenso e quella del dissenso

Tenere insieme la gestione del consenso, e quella del dissenso, degli influencer e quella di qualsiasi altro utente dei social vuol dire provare a risalire alle conseguenze della principale spinta all'utilizzo dei social network: la ricerca di una legittimazione pubblica di quello che si è o di quello che si fa. La premessa indispensabile è che chi lo fa per mestiere deve necessariamente tenere in debito conto la più banale delle leggi del mercato, ovvero che si compra e si vende (si concede o si toglie un like) in base alla propria credibilità. E questo vale a prescindere dal fatto che si offra qualcosa di valore e di qualità, un talento o un prodotto utile, o qualcosa di discutibile e inutile, come nel caso della miriade di fenomeni da baraccone che spopolano su Instagram e TikTok. Chiunque scelga di fare un post su un social network, si aspetta un ritorno in termini di consenso. Quello che pubblica però può generare una reazione contraria, che parte dal disinteresse e arriva alla contestazione che si materializza nel bombardamento e nella ricondivisione di commenti negativi, lo shitstorm.

L'errore diventa una colpa, le conseguenze si amplificano

Ci sono contenuti che diventano più facilmente virali di altri, perché attraggono l'attenzione e stimolano le interazioni: sono gli errori. Sui social network, che tendono a estremizzare l'identificazione fra l'errore e chi lo commette, sbagliare diventa una colpa da condividere e amplificare. Su questo piano, però, le differenze tra chi fa l'influencer e chi si trova improvvisamente a dover gestire una crisi di reputazione vanno considerate con attenzione. Chiara Ferragni è un personaggio pubblico, abituato a confrontarsi con la popolarità e ha gli strumenti, economici, legali e imprenditoriali, per fronteggiare una fase di difficoltà nata da errori evidenti che gli sviluppi giudiziari contribuiranno a stabilire quanto siano colpevoli. Nel caso di Giovanna Pedretti, se la relazione di causa ed effetto tra la gogna social, diventata immediatamente gogna mediatica, e la decisione estrema di togliersi la vita fosse confermata, la reputazione persa sarebbe stata, come in altri casi simili, un peso insopportabile. E il tema principale diventa come proteggere chi può essere più vulnerabile, a partire da ragazze e ragazzi, dall'esposizione al giudizio sommario di una piazza non protetta come quella dei social.

Non è solo colpa dei social, le responsabilità dei media

C'è però un altro elemento che non si deve tacere. Nella storia di Giovanna Pedretti, molto più che nel caso di Ferragni e degli altri influencer, va considerata la responsabilità dei media. Selvaggia Lucarelli, che fa la giornalista, la blogger ma anche l'influencer, fa quello che crede e ne assume le responsabilità. L'abitudine ormai consolidata da parte di tutti gli organi di informazione di replicare all'infinito lo schema dei social per attrarre consenso sulle proprie piattaforme, siano lettori, spettatori o follower, è un'altra questione ed espone al rischio concreto di rendersi complici di un'amplificazione del problema. Rilanciare post e commenti senza una accurata mediazione professionale fa travasare la gogna social nella gogna mediatica, con l'aggravante significativa che la verifica delle informazioni e delle fonti è pressoché irrilevante sui social ma dovrebbe essere imprescindibile per chi fa giornalismo. (Di Fabio Insenga)

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