Tra le suggestive vigne di Villero e Bussia, produttori, giornalisti, amici e opinion leader si confrontano, all’alba di una nuova vendemmia, con la produttrice Livia Fontana sul valore internazionale e l’unicità del Barolo.
Se la mappatura e la classificazione dei vigneti di Barolo risale al 2010, il valore intrinseco di questo grande vino ha radici molto più antiche. Perché del Barolo, “il vino dei re, il re dei vini”, come recita una generosa connotazione attribuitagli da generazioni, si è assistito negli ultimi trent’anni ad una crescita importante dopo la cosiddetta rivoluzione del Barolo. Sono le nuove generazioni che con studio, dedizione e un sapere scientifico hanno riportato il terroir delle Langhe ad esprimersi in grandi vini di Barolo, cancellando una fase più buia e l’adattamento a gusti e consumi internazionali.
“Il Barolo ha subito negli ultimi trent’anni una grande evoluzione ” - commenta Gianni Fabrizio, giornalista di riferimento del mondo del vino internazionale e curatore della Guida Vini d’Italia del Gambero Rosso, - in una tavola rotonda che vede anche la preziosa presenza di Giuseppe Vaccarini, enologo italiano, vincitore del Concorso Miglior Sommelier del Mondo A.S.I. nel 1978. “Diciamolo chiaramente – continua Gianni Fabrizio - sono le nuove generazioni che stanno restituendo al Barolo quella sua indiscussa e tipica connotazione, quei precisi caratteri organolettici che individuano e definiscono il Nebbiolo con un unico nome: Barolo”.
“Il Barolo è famoso – sostiene Giuseppe Vaccarini - per il suo profilo organolettico, per quelle caratteristiche ampelografiche che riconducono nel Nebbiolo, il territorio langarolo di appartenenza”. Vignolo Lutati nel 1929 aveva già distinto l’area del Barolo in tre formazioni geologiche del Miocene originatesi in epoche diverse. La più antica dell’Elveziano corrisponde proprio ai suoli di Castiglione Falletto, con Serralunga, Monforte e in parte Barolo; marne giallo biancastre tra strati di sabbia più o meno compatta che si traducono in una generale distinzione sensoriale del vino. Vini eleganti con profumi delicati in cui tannino e potenza saranno contenuti.
Gli antichi dicevano che “i luoghi hanno un’anima”. L’anima di Castiglione Falletto porta il nome dei Fontana, le cui radici documentate a Cascina Fontanin sono datate 1820 anche se le prime testimonianze della presenza della famiglia risalgono a un censimento del 1666: otto ettari e mezzo di proprietà divisi tra vigneti, pascoli e seminativi. Una vera azienda agricola di cui vi è traccia anche nei censimenti del 1701 e del 1777. Un’anima fatta dunque di generazioni che si succedono, ma anche di passione, lavoro, resilienza e infine di una lunga tradizione che oggi si rinnova, nella forma e nella sostanza, grazie a Livia Fontana, Michele e Lorenzo (i figli) capaci di imporre un nuovo stile, frutto dell’armonia e della vitalità che questa famiglia sa mettere in campo vendemmia dopo vendemmia.
“Livia Fontana è una realtà piuttosto rara che merita di esser fatta conoscere per la sua storia, per le garanzie sul prodotto e per la sua qualità” - afferma Giuseppe Vaccarini. Perché tale successo? “Per lo stesso motivo per cui si chiama Barolo e non Nebbiolo - continua Vaccarini. - La differenza torno a dirlo si fa sul terreno, sul vitigno, sul porta innesto, sul sesto d’impianto, sulle scelte dell’uomo. La differenza la si fa sul terroir e sono in grado di farla solo aziende come Livia Fontana, che hanno una storia e che hanno accompagnato per mano il Barolo nel mondo e sui mercati internazionali. Il Barolo è il Barolo anche grazie allo storytelling, a realtà con una storia che supporta la tradizione, a scelte e ostacoli superati quotidianamente: da duecento anni a questa parte”.
“Oggi siamo Azienda e Famiglia
– afferma Livia Fontana -, e una famiglia lavora bene insieme quando ognuno svolge al meglio il proprio ruolo. Il confronto avviene sempre sulle decisioni importanti e il segreto risiede proprio nell’armonia e nell’equilibrio. Cinque anni fa con Michele e Lorenzo abbiamo deciso di abbracciare una rigorosa scelta culturale, per costruire qualcosa di nuovo che ci portasse a vini più identitari e una vigna più viva, ma contestualmente anche un brand moderno attraverso un’immagine luminosa che rappresentasse la vita nei vigneti”.
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