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Cecchi Gori: "Rifarei tutto"

Da produttore a protagonista di 'Cecchi Gori – di Vizi e di Virtù', diretto da Simone Isola e Marco Spagnoli

(Fotogramma)
(Fotogramma)
08 giugno 2019 | 08.50
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(Adnkronos/Cinematografo.it) - “Rifarei tutto quello che ho fatto, coerente con le mie idee, col non volere accettare prepotenze. Ho la forza di essere dalla parte della ragione, certo, col senno di poi… ma non sarebbe onesto intellettualmente”. Confessione di Vittorio Cecchi Gori, protagonista di 'Cecchi Gori – di Vizi e di Virtù', diretto da Simone Isola e Marco Spagnoli e prodotto da Giuseppe Lepore, di cui il 6 giugno sono terminate le riprese a Roma. La residenza del produttore quale vero e proprio set, il docufilm ripercorre la nascita e l’ascesa del più grande gruppo di produzione e distribuzione cinematografica italiano di ogni tempo, con oltre 300 titoli prodotti – ultimo 'Silence' di Martin Scorsese nel 2016 – e oltre 1.000 distribuiti in 50 anni. Una storia raccontata anche dai vincitori dell’Oscar Roberto Benigni e Giuseppe Tornatore, i campioni di incassi Leonardo Pieraccioni e Carlo Verdone, gli amici Lino Banfi e Marco Risi, nonché allenatori e campioni della Fiorentina, passione di famiglia, quali Giancarlo Antognoni, Claudio Ranieri e Roberto Mancini, attuale CT della Nazionale. Il documentario è dedicato al fotografo Pietro Coccia, e – dice Isola – “nasce dalla voglia di raccontare, colmando un vuoto, una storia unica in Italia: esiste un prima e un dopo la fine dell’attività del gruppo. Capace di far coesistere opere commerciali con 'La leggenda del santo bevitore' di Ermanno Olmi, Leone d’oro: l’ultima grande major italiana, che investiva di tasca propria”.

Tornato da poco a vivere in quella casa ai Parioli acquistata dalla sua famiglia dopo 'Il sorpasso', Vittorio si dice “sereno, il passato una volta glorificato non mi ha più pesato: ogni tanto mi sembra veder spuntare mio padre e mia madre, del resto, sono rimasto sempre molto figlio”. Stigmatizza, il produttore, come “il conflitto tra cinema e tv non dovesse accadere: ha vinto la tv sul cinema, ma non dovevano esserci vincitori” e ricorda la sua avventura politica: “Primi anni Novanta, mi chiamò Martinazzoli, la Democrazia Cristiana era il partito d’origine nostro, non da militanti ma da normali cittadini, e mi chiese di candidarmi – Senato 1, avrei fatto due legislature – a Firenze, se no l’avrebbero presa i comunisti. Ma la DC mi si è sbriciolata sotto i piedi, non avevo una mens politica”. Nel documentario troveranno posto 1.800 fotografie, alcune della collezione privata dei Cecchi Gori, e – sottolinea Spagnoli – “se Vittorio è una rockstar, la nostra riflessione sarà sul potere, cinematografico e non”. Eppure, Vittorio non si considera il “padrone del cinema italiano, brutta espressione. Certo, Pieraccioni non era nessuno, 'Borotalco', il terzo film di Verdone, era molto moderno per quei tempi, ma avevamo l’intuizione, la cosa più importante. Al servizio del cinema, si reinvestiva sempre nel cinema, mentre oggi il produttore non è più indipendente, ma quasi un dirigente televisivo”. Nel doc Verdone rivela la genesi della sua opera terza: “Dopo il successo di 'Un sacco bello' e 'Bianco rosso e Verdone' ero rimasto fermo, ero tornato all’università dal mio vecchio prof di storia delle religioni, dopo un mese ero abbastanza depresso, finché non mi chiama Mario Cecchi Gori e mi chiede un appuntamento. Sigaro, faccia autorevole e autoritaria, mi disse di essere rimasto colpito dall’emigrante di 'Bianco rosso e Verdone', ‘un capolavoro assoluto’, e mi chiede un film a personaggio unico, ‘son convinto ci riesci, fai quello che vuoi, libertà assoluta’".

Per Pieraccioni, intervistato nel doc, “questo mestiere non si fa con i denari, ma con l’energia che va nella pellicola, ogni film è un salto nel buio”, ma i Cecchi Gori avevano il paracadute buono: “Il segreto – dice Vittorio – era andare d’accordo con il regista, eravamo produttori creativi. Fellini, di cui facemmo 'La voce della luna', disse a mio padre: ‘L’hai sempre scansata, mo’ ti incastra tuo figlio…”. Lo producemmo, ma in quel caso senza alcun nostro contributo creativo”. “Il mio grande fiore all’occhiello – aggiunge – fu '…altrimenti ci arrabbiamo!', il più grande successo del cinema italiano all’estero. L’ho fatto da solo io, mio padre non lo capiva…”. Poi il calcio, la Fiorentina di ieri: “Litigai con Trapattoni, al Camp Nou non fece giocare Chiesa, e perdemmo 4 a 1” e di oggi: “Commisso? Non lo conosco, spero bene, ma già fanno pasticci con Chiesa junior”, e il gossip: “Un ingrediente meraviglioso, ma su cose importanti fa da contorno. Facessi una camminata con Rita (Rusic, ndr) e Valeria (Marini, ndr), andrebbe a ruba, ma eviterei…”. Vittorio traccia un bilancio, non solo consuntivo: “Non doveva succedere, quel che è successo, io non rifarei calcio e tv, ma il cinema sì. Ho qualche progetto, con Scorsese c’era un altro contratto”. E il doc 'Cecchi Gori – di Vizi e di Virtù', che forse vedremo a Venezia, accoglie un testamento, coniugato al futuro: “Mi arrestarono davanti a mio figlio, non l’ho vissuto bene, ma sono rimasto sereno. Ho capito che eravamo nella follia del potere, che dovevo fare? L’accordo Telecom con le tv, saltava tutto. Non è stato semplice andare da Palazzo Borghese a Regina Coeli, ma mi son dato una medaglia, ho resistito bene”.

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