L’improvviso stop agli incentivi getta ombre sulla transizione ecologica dell’Ue
Lo stop improvviso agli incentivi deciso dalla Germania sta avendo enormi ripercussioni sul mercato delle auto elettriche.
A dicembre il calo è stato del 3,8% in Europa, primo dato negativo dopo sedici mesi consecutivi positivi, mentre in Germania le immatricolazioni delle auto elettriche hanno registrato un pesante –23%!
A dicembre, il paese ha cancellato con effetto immediato e senza preavviso il Umweltbonus l’agevolazione statale per l’acquisto di auto elettriche generando il panico tra chi aveva ordinato, acquistato e pagato una macchina elettrica e aspettava solo di riceverla. Lo schema del bonus, infatti, prevedeva che le agevolazioni scattassero solo al completamento della consegna. Praticamente chi aveva ordinato l’auto entro il 17 dicembre scorso, ma non l’aveva ancora ricevuta, ha perso improvvisamente il bonus a cui pensava di avere diritto.
Una situazione che ha provocato la perplessità dell’associazione del settore automotive in Germania: “Si tratta di un’incredibile violazione della fiducia per decine di migliaia di clienti che hanno ordinato i loro veicoli elettrici partendo dal presupposto che il sussidio venisse pagato”, aveva subito dichiarato il presidente dell’associazione Arne Joswig.
Lo stop improvviso è stato quasi obbligato dalla sentenza della corte di Karlsruhe che ha definito incostituzionale il trasferimento di ingenti risorse federali inizialmente stanziate per contrastare la pandemia del coronavirus a un nuovo fondo “fuori bilancio” per il contrasto ai cambiamenti climatici. A spiegarlo è stato un portavoce del ministero guidato dal verde Robert Habeck: “[la cancellazione del bonus] è una conseguenza diretta della sentenza”.
Non a caso, già a dicembre scorso lo stesso Habeck ha parlato di “un'eliminazione graduale” dell’Umweltbonus anticipata rispetto a quanto previsto. Secondo la prima ipotesi, nel 2024 il sussidio scenderebbe ad appena 3 mila euro e sarebbe erogato solo per vetture che costano meno di 45 mila euro. Negli ultimi giorni, però, si fa strada l’ipotesi di una eliminazione totale del bonus.
Una decisione in netto contrasto con il percorso green dell’Unione europea, che mira a ricoprire un ruolo di leadership nella transizione energetica e ha previsto lo stop alla vendita di auto a motore termico dal 2035.
La Germania, prima economia europea nonché leader nel settore dell’automotive, si è già duramente opposta a questa decisione capeggiando una fazione di cui faceva parte anche l’Italia. A inizio 2023, tuttavia, il trilogo si è concluso positivamente confermando che dal 2035 potranno essere vendute solo auto a combustione interna che utilizzano carburante al 100% neutrale dal punto di vista delle emissioni di CO2.
Ora, il rallentamento del settore in terra bavarese preoccupa non poco l’intera Unione e potrebbe rendere molto più frastagliato il percorso green.
Seppure con dinamiche molto diverse, non è la prima volta che dalla Germania arrivano brutte notizie per l’Ue. Già a settembre scorso Berlino ha fatto pressione perché Bruxelles estendesse la definizione di piccola e media impresa. L’idea era quella di alzare la soglia da 250 a 500 dipendenti, formalmente per “limitare il carico [burocratico] che grava su di loro a ciò che è realmente necessario”, ma di fatto limitando l’applicazione della Direttiva Csrd.
Secondo i calcoli del think tank Center for European Policy Studies della Commissione europea, questa modifica avrebbe esentato un numero di aziende tra 7.500 e 8.000 dal rispetto delle norme di rendicontazione di sostenibilità adottate dalla Commissione europea.
Non solo: il 26 marzo scorso, infatti, è fallito il referendum di Berlino che proponeva di raggiungere la “neutralità climatica” nella capitale tedesca entro il 2030. Il referendum Klima Schutz, proposto da associazioni ambientaliste ed esponenti della società civile che avevano raccolto decine di migliaia di firme, non ha raggiunto il quorum (1/4 degli aventi diritto) per quasi 200.000 voti. Per diventare a emissioni zero entro il 2030 Berlino avrebbe dovuto mettere in atto misure radicali nel traffico, nelle abitazioni, nel riscaldamento, ma il costo della transizione ha frenato i cittadini.
Ad arricchire (o, meglio, impoverire) il quadro ci sono le difficoltà economiche che le aziende automobilistiche tedesche stanno subendo anche a causa dei costi di transizione.
Negli scorsi giorni Bosch, il più grande fornitore automobilistico al mondo, ha annunciato che intende licenziare fino a 1.200 dipendenti nella sua divisione di sviluppo software entro la fine del 2026. Nel presentare questa decisione, la multinazionale ha citato proprio gli elevati costi legati alla transizione al motore elettrico, gravati dall’inflazione e dall’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia.
Una situazione analoga per ZF Friedrichshafen, produttrice di componenti per l'industria dei trasporti con circa 165 mila impiegati a livello globale. La multinazionale ha fatto sapere che, nello scenario peggiore, potrebbero essere persi 12 mila posti di lavoro e anche in questo caso la colpa è stata attribuita, almeno in parte, alla transizione.
In una nota al Financial Times, infatti, l’azienda ha dichiarato: “Sappiamo che la sola trasformazione verso la mobilità elettrica costerà posti di lavoro”.
Una situazione che non dipende solo dai costi, ma anche dal fatto che, spiegano dall’azienda, alcuni componenti dei veicoli elettrici richiedano la metà della manodopera rispetto all’equivalente dei motori a combustione.
Con la crisi dell’elettrico in Germania, lo scenario sulla transizione ecologica diventa ancora più incerto. Da una parte c’è l’esigenza di ridurre drasticamente le emissioni, dall’altra il timore di mettere in crisi un comparto che pesa l’8% del Pil comunitario e di consegnare il settore alla Cina, nettamente avanti sul fronte delle tecnologie e delle materie prime. Ma anche il paese più inquinante al mondo.