La maggioranza degli intervistati pensa che l’impatto dell’Ai possa essere dirompente, nel momento in cui determinerà un nuovo rapporto tra uomo e tecnologia
Come cambierà il lavoro con l’Intelligenza artificiale? Questo è uno degli interrogativi più diffusi negli ultimi anni. A differenza dei cambiamenti tecnologici avvenuti nel passato, l'Ai presenta dei tratti del tutto peculiari: espande in modo significativo la gamma di attività che può essere automatizzata, interessando anche quelle di carattere cognitivo e si pone come innovazione trasversale, manifestando un potenziale applicativo in tutti i settori e professioni, ad una velocità di sviluppo che non ha precedenti.
Secondo un campione di 116 ‘testimoni privilegiati’, chiamati a partecipare all’indagine ‘L’impatto dell’Ai sul mondo del lavoro’, promossa dalla Fondazione studi consulenti del lavoro in occasione della 15esima edizione del Festival del Lavoro, in programma dal 16 al 18 maggio a Firenze, presso la Fortezza da Basso, la maggioranza (55,2%) pensa che l’impatto dell’Ai possa essere dirompente, nel momento in cui determinerà un nuovo rapporto tra uomo e tecnologia nel lavoro, che avrà rilevanti implicazioni a livello economico e sociale. Scopriamo insieme cos’è emerso dall’indagine.
Dall’indagine della Fondazione è emerso che il 34,5%, pur collocando l’avvento dell’intelligenza artificiale in continuità con i cambiamenti avvenuti negli ultimi anni, pensa che tale innovazione abbia comunque dei tratti distintivi rispetto alle più recenti, per la trasversalità dell’impatto (interessa anche le funzioni cognitive e quindi una platea molto più estesa di lavoratori) e la velocità del cambiamento prodotto.
Solo il 10,3% guarda invece all’Ai come a una delle tante innovazioni avvenute negli anni più recenti, che necessiterà, come già avvenuto per altre, di tempi fisiologici di adattamento. Un cambiamento epocale, quindi, che potrà avere riflessi evidenti sul lavoro, migliorando l’organizzazione, eliminando compiti pericolosi o noiosi, creandone di più complessi e interessanti, aumentando il coinvolgimento dei lavoratori e dando loro una maggiore autonomia.
Non solo dubbi, ma anche tante opportunità. Interrogati su questo tema, la maggioranza (66,7%) ha risposto che l’Ai contribuirà all’ampliamento delle competenze dei lavoratori e alla creazione di nuove occupazioni, in ambito specialistico, ma non solo, dal momento che l’Ai richiede lo sviluppo di nuove skills e attitudini in campo etico, umanistico, relazionale, finalizzate alla definizione di un nuovo rapporto tra uomo e tecnologia. È questa l’opportunità maggiore, seguita, a distanza dall’aumento della produttività, indicato dal 47% degli intervistati, e da una maggiore qualità del lavoro, derivante dalla possibilità di ridurre i tempi, attività ripetitive e di concentrarsi su contenuti più stimolanti: indica tale punto il 45,3%. Meno incisivi i risvolti positivi di questa tecnologia riferita alla sicurezza sul lavoro, con la riduzione di compiti gravosi e rischiosi, la personalizzazione delle misure e della formazione (indica tale item il 34,2% dei rispondenti) così come alla possibilità di una più efficace gestione del personale, indicata dal 30,8%.
Infine, solo il 17,1% individua, tra le principali opportunità dell’Ai, la possibilità che le nuove tecnologie possano supplire alla carenza di lavoratori che sempre più connoterà il mercato del lavoro nei prossimi anni, mentre è del tutto residuale (4,3%) la quota di quanti vi vedono un’opportunità per ridurre iniquità e discriminazioni nel mercato del lavoro.
La sfida che dovranno affrontare i lavoratori è quella delle competenze. Questa, infatti, è tra le principali criticità individuate: il 60,7% indica al primo posto proprio il rischio di un’accelerazione nell’obsolescenza delle competenze dei lavoratori e l’esigenza di un reskilling continuo, che interesserà non solo attività a bassa qualificazione, ma l’intera piramide professionale, coinvolgendo anche professioni intellettuali, tecniche, ad elevata specializzazione.
Così come, a impattare negativamente, si preannuncia essere l’utilizzo degli algoritmi che preoccupa soprattutto per i riflessi in termini di privacy e di possibili decisioni discriminanti derivanti dall’Ai: indica tale item, a seguire, il 53,8% degli intervistati. Al terzo posto (46,2%) gli esperti indicano il possibile ampliamento delle disuguaglianze, con il rischio di alimentare divari crescenti a diversi livelli: tra lavoratori “digitalizzati” e no, giovani e anziani, grandi e piccole imprese. Circa un terzo (33,3%) reputa poi che, alla lunga, lo sviluppo dell’Ai possa determinare una perdita di professionalità dei lavoratori, derivante dalla tendenza a delegare alla tecnologia sempre più funzioni, tra cui quelle di carattere cognitivo, analitico, e decisionale. È invece una minoranza del campione a indicare tra le principali criticità dell’Ai altri aspetti, quali l’incremento dei rischi alla salute e dello stress per i lavoratori, sottoposti alla pressione psicologica derivante dall’utilizzo di sistemi di gestione Hr basati su Ai (indica l’item il 16,2%), la riduzione della qualità del lavoro dovuta al deterioramento delle relazioni interpersonali (14,5%), l’indebolimento dei diritti dei lavoratori (13,7%), la distruzione di posti di lavoro e la riduzione dei livelli occupazionali: solo il 12,8% dei rispondenti indica tale item, collocandolo all’ultimo posto tra le principali criticità derivanti dalla diffusione dell’IA.