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CarpeCarbon, perché il progetto italiano per catturare la CO2 è diverso da tutti gli altri

La startup torinese attrae anche gli investitori: la riduzione dell’anidride carbonica è l’unica alternativa per salvare il pianeta

Eliminare la CO2 - Canva
Eliminare la CO2 - Canva
21 marzo 2024 | 15.27
LETTURA: 5 minuti

L’ultimo rapporto Ipcc lo ha messo nero su bianco: sarà impossibile rispettare la fatidica soglia del +1.5°C rispetto al periodo preindustriale senza ridurre drasticamente la CO2 nell’aria. Questo è l’obiettivo del progetto CarpeCarbon, una startup con sede a Torino che si appresta a costruire il primo impianto italiano per la cattura diretta di anidride carbonica dall’atmosfera.

Il progetto muove da una convinzione, corroborata dai dati, “Fermare le emissioni è assolutamente necessario, ma non più sufficiente”, come si legge sul sito della startup torinese.

Ma perché CarpeCarbon rappresenta una novità nel panorama green e cosa la distingue dalle altre tecnologie Direct air capture (Dac)?

Come funziona CarpeCarbon

Dopo il grande entusiasmo iniziale, le tecnologie Dac, presentate come la svolta green per il pianeta, hanno mostrato i propri limiti. Due le più grandi criticità di questi strumenti, tra l’altro analoghe a quelle discusse per le auto elettriche:

- l’utilizzo intensivo di energia che li rende poco sostenibili;

- la dipendenza da minerali critici

Insomma, “il gioco non vale la candela”.

CarpeCarbon, invece, ha sviluppato un approccio innovativo che offre una soluzione scalabile ed efficiente dal punto di vista energetico. Questo metodo riduce significativamente i costi energetici e l’impatto ambientale puntando sull’uso di energia rinnovabile per alimentare i suoi processi di cattura della CO2, evitando l’uso di sostanze chimiche nocive.

Inoltre, l’azienda italiana progetta la sua supply chain senza dipendere da materie prime critiche, assicurando una maggiore resilienza e sostenibilità della supply chain. L’obiettivo è filtrare l’aria per trattenere le molecole di CO2 emesse in passato bruciando i combustibili fossili e rilasciare le altre, secondo un processo ciclico il cui risultato sono emissioni negative

Le caratteristiche appena viste rendono il progetto CarpeCarbon pioniera nel settore, tanto che la start up torinese si è aggiudicata un finanziamento di oltre 1,7 milioni di euro assegnato dall’iniziativa Tech4Planet di Cdp Venture Capital e da 360 Capital, oltre che da altri sostenitori, tra cui la rete Club degli Investitori e il fondo di co-investimento PiemonteNext. Fondi che serviranno a realizzare il primo impianto Dac in Italia. Nella penisola questa tecnologia è stata utilizzato per un impianto pilota in Puglia, realizzato nel 2018 dalla società svizzera Climeworks, ma si trattava di un progetto pilota.

Realizzare l’economia circolare con la CO2

Un’altra caratteristica avanguardistica del progetto riguarda il riutilizzo dell’anidride carbonica catturata. Oltre alla rimozione di CO2 dall’atmosfera, infatti, CarpeCarbon esplora anche l’utilizzo della CO2 catturata per una vasta gamma di applicazioni industriali come la produzione di carburanti sintetici net zero per l’aviazione, la produzione di farmaci, i processi di riciclo delle batterie per i veicoli elettrici, materiali di costruzione a impatto zero, produzione di bevande gasate e prodotti decaffeinati.

Un approccio sostenibile in senso olistico che risponde all’esigenza dell’Sdg 12 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite che punta sull’economia circolare per realizzare un modello di consumo e di produzione sostenibile.

Sempre più CO2 nell’atmosfera

La stessa azienda spiega sul suo sito ufficiale: “Ad oggi, mentre continuiamo a rilasciare CO2 come sottoprodotto delle nostre attività, Dac è uno dei servizi di gestione dei rifiuti più trascurati ma necessari per la nostra società. Le attività umane hanno alterato il ciclo del carbonio della Terra attraverso lo sfruttamento dei combustibili fossili, sconvolgendo l’equilibrio climatico ed esponendo l’umanità alle conseguenze devastanti del riscaldamento globale”.

Prima del 1850 le emissioni di CO2 erano inesistenti e stabili, inferiori a 1 gigatone. A partire dal 1850, le emissioni sono aumentate sempre più rapidamente fino a raggiungere circa 15 gigatoni di CO2 emesse nel 1950, e, negli ultimi anni, più di 30 gigatoni di CO2.

Un aumento correlato a due macrofenomeni: l’aumento della popolazione mondiale; l’aumento della ricchezza e dello sviluppo industriale su scala mondiale.

La curva di Keeling mostra graficamente l’incedere di questa progressione che ha contribuito ad un innalzamento delle temperature globali, con conseguenze dirette sul clima, sugli ecosistemi e sulla vita umana. L’anno scorso, per la prima volta nella storia, la temperatura si è attestata a +2°C rispetto al periodo preindustriale e il 2023 è stato un annus horribilis in tema di catastrofi naturali. [Fonte immagine: Wikipedia]

L’aumento della CO2 nell’aria (seguito da quello di metano) è il principale responsabile di questi scenari, e i dati dicono che non basta più ridurne le emissioni, ma occorre catturarla.

Partito da tre giovani di Torino, un siciliano trapiantato a Milano e una ragazza di Isernia, la provincia più piccola d’Italia, CarpeCarbon oggi si presenta come la più valida alternativa per vincere questa battaglia.

Le prospettive future

La sfida non è semplice, ma i presupposti lasciano ben sperare come dimostra anche il finanziamento ricevuto dalla giovanissima startup (età media 32 anni). “Noi – ha dichiarato il Ceo Giuliano Antoniciello a Lasvolta.it – siamo convinti di riuscire a farlo così bene che, se tutto va come previsto, il nostro impianto può lavorare completamente scollegato dalla rete elettrica e senza la necessità di dover produrre in loco grandi quantità di energia (rinnovabile). Questo significa che in un colpo solo ci siamo liberati della dipendenza da supply chain molto complesse e spesso fragili, che stanno alla base della produzione di energia rinnovabile, e dall’altra parte abbiamo disaccoppiato il problema della rimozione della CO2 atmosferica da quello della transizione energetica”.

Antoniciello spiega che la tecnologia Dac rimuove la CO2 dall’atmosfera e non solo dal punto in cui viene prodotta come, invece, fanno i più noti sistemi Ccs (Carbon Capture and Storage). In sostanza, questo consente di catturare anche l’anidride carbonica già immessa nell’atmosfera, e non solo di “annullare” le nuove emissioni.

“Tutti questi discorsi – spiega ancora il Ceo di CarpeCarbon – hanno un senso se passiamo dalle attuali 35 miliardi di tonnellate l’anno di emissioni nette di CO2 a zero: è il famoso scenario net zero e questo deve avvenire da qua al 2050 per rispettare gli obiettivi climatici dell’accordo di Parigi. Avvenuto questo, non sarà ormai più sufficiente arrivare a zero, bisognerà rimuovere attivamente grandi quantità dall’atmosfera. Lo si può fare grazie a tecnologie come la nostra”.

Il 2024 potrebbe essere un anno cruciale per la startup italiana. L’ambiente e i cittadini del futuro attendono fiduciosi.

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