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L'appello di un papà per la figlia con una malattia rarissima

Papà Fortunato - Adnkronos Salute
Papà Fortunato - Adnkronos Salute
20 gennaio 2020 | 18.14
LETTURA: 7 minuti

di Lucia Scopelliti

Fortunato di mestiere fa il vigile del fuoco. Ma ha anche "un secondo lavoro", racconta: "Compilo carte, mi attacco al telefono, passo ore al computer, scrivo mail, contatto la Regione, l'Ats di Milano. Tutti i giorni la stessa storia, solo per avere quello che mi spetta. E' uno stress incredibile che toglie energia. E a noi l'energia serve tutta, da dedicare alla nostra bambina e ai suoi bisogni speciali, da dedicare ai due figli adolescenti che meritano anche loro attenzione. Quando si ammala un figlio, si ammala tutta la famiglia. E la sensibilità dei politici verso chi deve fare i conti con una disabilità grave è troppo scarsa. Ci si riempie la bocca, ma non si fa nulla o quasi nulla. Ci sentiamo soli". E' lo sfogo di un padre. Ma alla sua voce si aggiungono quelle di un altro centinaio di famiglie, che hanno con sé una persona o un minore con disabilità gravissima.

"Famiglie che hanno deciso di metterci la faccia", spiega Fortunato all'AdnKronos Salute, in questi giorni in cui si discute delle risorse a loro destinate. I nomi sono in calce a una lettera aperta inviata al Consiglio regionale della Lombardia, all'assessore regionale alle Politiche sociali, abitative e disabilità, Stefano Bolognini, al governatore Attilio Fontana, ma anche alla Presidenza del Consiglio dei ministri e al ministero delle Politiche sociali. E' la seconda missiva che scrivono. Perché, secondo loro, le mozioni approvate il 14 gennaio scorso non danno la certezza che le cose verranno messe a posto come devono. E poi a non funzionare sono tante cose.

Non ci sono solo i tagli a creare "enorme apprensione per la paura di vedersi sospesi servizi essenziali" per i figli, come scrivono nella lettera aperta, ma sono anche "i criteri insensati" a rendere tutto difficile, e le lungaggini burocratiche. "Si torni ai mille euro che venivano erogati negli anni precedenti - è l'appello - senza distinzione di orario di frequenza scolastica, senza il vincolo socioeconomico dell'Isee, che è come se la disabilità si misurasse economicamente. E garantendo la continuità nell'erogazione dei bonus".

I soldi, incalza Fortunato, "non ci servono per giocarli alle slot, ma per le terapie e per l'assistenza domiciliare che non basta. Sono soldi per le minime necessità dei disabili". Fortunato e Maria, insegnante part-time, per esempio hanno una bimba di quasi 4 anni "che non può essere lasciata sola mai". Roberta, una moretta con un sorriso dolce e occhi grandi e profondi, non ha avuto grande fortuna alla 'lotteria' della genetica. La malattia che le è stata diagnosticata è rarissima, una variante di una malattia già rara. Solo il nome è un inciampo: displasia campomelica acampomelica, non ha neanche un codice malattia rara. "Siamo il primo caso diagnosticato in Italia e al mondo se ne contano pochi altri, ognuno con le sue specificità. Noi siamo fortunati perché la quasi totalità dei neonati affetti non nasce neppure o non arriva all'anno di vita", racconta il papà.

La malattia colpisce tutta la parte scheletrica. Roberta non può stare in piedi senza corsetto e le serve un girello per spostarsi, ha la tracheotomia, una sonda nello stomaco, un buco nel palato, ma è una tipetta che non molla e "ha anche cominciato ad andare a scuola 2 ore al giorno. Ha una forza incredibile", assicura il papà con orgoglio. E ha "bisogni assistenziali che meritano una risposta". E per ottenerle le famiglie devono affrontare "tortuosità inimmaginabili", come l'obbligo di ripresentare ogni anno la documentazione sanitaria "su situazioni che restano invariate o al massimo peggiorano".

Oltre alla misura B1, finita sotto i riflettori per le modifiche inizialmente varate dalla Regione, esistono i voucher sociosanitari o socioeducativi di circa 500 euro al mese, "ma anche qui sono problemi. I voucher risultano difficilmente esigibili". Funziona così: "Se a me servono 20 ore di educatore in più - spiega Fortunato - faccio un progetto e mi accreditano un ente che fornisce il servizio richiesto. Peccato che l'anno scorso gli enti sono stati accreditati a giugno e il servizio ci è stato dato a settembre per 4 mesi. Gli altri 8 mesi spariti. E l'anno successivo riparte la tiritera. Passiamo la vita a fare carte e aspettare, devi stare sempre all'occhio e non perderti una delibera. Ma l'elenco delle insensatezze è lungo. Tornando al bonus, per esempio, non si ha diritto a prenderlo se il minore va a scuola per più di 25 ore. E' assurdo: la scuola è un obbligo, oltre che un diritto".

"Il fatto che le famiglie si trovino dall'oggi al domani con fondi che da 900 crollano a 400 euro è un disastro - insiste il papà - I bisogni dei nostri figli non spariscono, non sono a tempo. La Regione ci dà 400 euro e ci dice che il resto è a rimborso, se dimostriamo di assumere personale specializzato. Ma sono 200 euro di rimborso se dimostri l'assunzione di una persona per 40 ore al mese. Neanche chi raccoglie i pomodori prende 2 euro l'ora. Gli altri soldi per arrivare ai 30 euro l'ora che si prende un infermiere specializzato ce li metto io? Il 99% delle famiglie non potrà permetterselo. E' folle".

"Noi con i nostri stipendi senza aiuti faremmo una grossa fatica - continua Fortunato - Abbiamo altri due figli, viviamo a Milano, per prenderci cura di nostra figlia abbiamo tante spese da affrontare. Sì, è vero, ci rimborsano i farmaci, ma per creme, integratori, vitamine e altri parafarmaci spendiamo ogni volta 200-300 euro che nessuno ci rimborsa. Per ogni visita specialistica che esula da quelle programmate sono 300-400 euro che vanno via. La piscina, la riabilitazione ce le paghiamo noi. Se serve il fisioterapista, il logopedista, e la lista è lunghissima. La misura B1 ci ha permesso di far visitare Roberta da uno dei migliori ortopedici italiani ed è stato importante perché abbiamo capito cose prima non chiare. Senza quell'integrazione avremmo dovuto togliere lo sport o altro ai ragazzi grandi. Non c'è altro perché noi non usciamo, non andiamo a cena né facciamo weekend fuori".

Le giornate "sono tutte pianificate. Lavoriamo e poi facciamo i turni per stare vicino a nostra figlia, anche di notte, cercando di coprire i buchi con l'assistenza domiciliare. Non abbiamo più una vita e si deve lottare per tutto". Ecco perché, conclude, "non ci fermiamo qua. Noi famiglie continueremo a pressare per essere ascoltati. Il messaggio è che non si taglia ai disabili e chi ha la responsabilità di governo, e non si dimostra sensibile verso un tema così importante, non può decidere delle vite delle persone senza riflettere e capire cosa passano".

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