La ricerca, pubblicata su Pnas, ha analizzato il ruolo delle goccioline emesse
Parlare ad alta voce, in spazi chiusi magari ristretti, può contribuire a diffondere il coronavirus? La risposta sarebbe sì, secondo un nuovo studio pubblicato su Pnas, che ha analizzato il ruolo delle goccioline emesse, parlando, da casi asintomatici di Covid come uno dei veicoli, sempre più probabile, di trasmissione della malattia. Lo studio prova la tesi già emersa in un precedente lavoro.
I ricercatori del National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases (NIDDK) e dell'università della Pennsylvania hanno utilizzato un laser verde altamente sensibile per tracciare le 'droplets', le goccioline di fluido orale: nello studio una persona che parla da alta voce ne emette migliaia al secondo, per la precisione 2.600. L'equipe ha chiesto a un volontario di pronunciare ripetutamente la frase 'Stay healthy' (resta sano) in una scatola per 25 secondi. Parole scelte perché il tono in cui vengono dette è normalmente alto.
In un ambiente chiuso e non aerato, simulato utilizzando la scatola, le goccioline rimangono sospese da 8 a 14 minuti prima di degradarsi. "Questi risultati - spiegano i ricercatori - confermano che c'è una sostanziale probabilità che una normale conversazione possa causare la trasmissione del virus in spazi chiusi. Parlando si genera l'emissione di droplets che possono rimanere sospese nell'aria per circa 10 minuti o anche più e che sono capaci di trasmettere la malattia in ambienti chiusi" se provengono, per esempio, da una persona asintomatica che non sa di avere il Covid. Sulla base di queste conclusioni, lo studio sottolinea l'importanza di mantenere le distanze raccomandate e, soprattutto, di indossare la mascherina.