La microbiologa dell'ospedale Sacco di Milano: "Tanti diritti nessun dovere, continuano ad agire come se il problema non riguardasse anche loro". E aggiunge: "Non è pestilenza, ma restrizioni Dpcm giuste per assicurare assistenza a casi gravi"
"C'è tristezza nel constatare il comportamento di tanti giovani", che continuano a frequentare grandi assembramenti nonostante le pressanti raccomandazioni che arrivano da istituzioni, autorità sanitarie e scienziati, e che sono anche oggetto del nuovo decreto governativo sull'emergenza coronavirus. E' il sentimento che esprime parlando all'AdnKronos Salute Maria Rita Gismondo, direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze dell'ospedale Sacco di Milano, centro di riferimento contro Covid-19. In troppi "si comportano come se il coronavirus non li riguardasse - osserva - come se fosse solo un problema degli anziani".
"Questo non è vero nemmeno da un punto di vista epidemiologico", avverte l'esperta. Senza contare il rischio - trasversale a ogni età e quindi reale anche per i ragazzi - di contrarre l'infezione, magari senza mostrare sintomi significativi, ma comunque con "la possibilità di contagiare le categorie più fragili con gravi conseguenze". In queste ore "assistiamo purtroppo a una generazione che sta dimostrando scarsa responsabilità sociale", la convinzione di avere "tanti diritti e nessun dovere", riflette con amarezza la scienziata.
Entrando nel merito delle restrizioni disposte dal Dpcm firmato nella notte dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, "la cosa veramente importante" secondo la microbiologa "è che queste misure non vengano interpretate come qualcosa che indica la gravità della patologia", ossia come se questa infezione fosse "una pestilenza".
"Si tratta di misure giuste - puntualizza Gismondo - nell'ottica di diluire nel tempo l'entità dei contagi, in modo che tutti i malati gravi possano ricevere la giusta assistenza". Se è vero infatti che circa "il 97% dei pazienti guarisce", c'è "il punto critico rappresentato dalla percentuale che richiede un trattamento in terapia intensiva. E' piccola, ma il numero assoluto è importante" e mette a rischio la tenuta del Servizio sanitario nazionale. "Abbiamo tutti - conclude la scienziata - il dovere sociale di proteggere le fasce deboli".