Livelli alti di 20 proteine sono risultati associati a sintomi persistenti a un anno dal contagio
Un esame del sangue eseguito al momento dell'infezione da Sars-CoV-2 promette di prevedere la sindrome Long Covid, individuando i pazienti più a rischio di disturbi a un anno dal contagio. E' la novità che emerge da uno studio pubblicato su 'eBioMedicine - The Lancet', condotto da ricercatori dell'University College London (Ucl) su piccoli numeri. Se i risultati verranno confermati da indagini più ampie, gli autori prospettano la possibilità di predire la sindrome post Covid-19 offrendo un test già al momento della diagnosi di positività al coronavirus pandemico. Il futuro esame misurerebbe i livelli di una serie di proteine, le cui concentrazioni plasmatiche sono risultate particolarmente alte nei contagiati con sintomi persistenti dopo 12 mesi dall'infezione.
Gli scienziati hanno analizzato campioni di plasma di 54 operatori sanitari con Covid confermato da tampone molecolare o test degli anticorpi, prelevati ogni settimana per 6 settimane nella primavera 2020, confrontandoli con campioni raccolti nello stesso periodo su 102 sanitari che non erano stati contagiati da Sars-CoV-2. Attraverso tecniche mirate di spettrometria di massa, gli autori hanno studiato come Covid-19 influenzava i livelli di proteine plasmatiche nell'arco delle 6 settimane. Hanno così rilevato concentrazioni anomale, molto elevate, per 12 proteine su 91 valutate, evidenziando che il grado di anomalia nelle concentrazioni proteiche era associato alla gravità dei sintomi. Il team ha inoltre osservato che, al momento della diagnosi di positività a Sars-CoV-2, livelli anomali di 20 proteine erano predittivi di disturbi che permanevano a un anno dal contagio. La maggior parte di queste proteine 'spia' erano legate a meccanismi anticoagulanti e antinfiammatori.
I ricercatori hanno quindi chiesto aiuto all'intelligenza artificiale, addestrando un algoritmo di apprendimento automatico che ha imparato a esaminare i profili proteici dei partecipanti ed è stato in grado di distinguere tutti gli 11 operatori che 12 mesi dopo l'infezione riferivano almeno un sintomo persistente. Un altro strumento di apprendimento automatico è stato usato per stimare la probabilità che il test avrebbe di sbagliarsi, indicando un possibile tasso di errore del 6%.
"Il nostro studio mostra che anche un'infezione Covid lieve o asintomatica altera il profilo proteico del plasma sanguigno", spiega Gaby Captur, autrice principale del lavoro che è stato finanziato dal National Institute for Health and Care Research, Great Ormond Street Hospital Biomedical Research Center (Nihr Gosh Brc), dalla British Heart Foundation e dall'ente di beneficenza Barts.
"Il nostro strumento di previsione del Long Covid deve essere validato in un gruppo di pazienti indipendente e più ampio - precisa la scienziata - Tuttavia, secondo il nostro approccio un test che prevede il rischio di Long Covid al momento dell'infezione iniziale" da Sars-CoV-2 "potrebbe essere implementato in modo rapido ed economico. Il nostro metodo di analisi è infatti prontamente disponibile negli ospedali ed è ad alto rendimento, nel senso che può analizzare migliaia di campioni in un pomeriggio".
"Se riusciamo a identificare le persone che potrebbero sviluppare Long Covid - commenta l'autrice senior Wendy Heywood - questo aprirà la strada alla sperimentazione di trattamenti come antivirali somministrati nelle fasi iniziali dell'infezione, per capire se riescono a ridurre il rischio di Long Covid".