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Coronavirus, l'ipotesi: carenza vitamina D può aumentare rischi

Giancarlo Isaia ed Enzo Medico dell’Università di Torino: "Assicurare livelli adeguati di questa sostanza"

Coronavirus, l'ipotesi: carenza vitamina D può aumentare rischi
26 marzo 2020 | 14.33
LETTURA: 3 minuti

di Margherita Lopes

Perché il nuovo coronavirus ha aggredito prima e in modo pesante in nostro Paese, rispetto ai 'vicini' europei? Alla ricerca di possibili concause o di specifici fattori di rischio, Giancarlo Isaia, docente di Geriatria e presidente dell’Accademia di Medicina di Torino ed Enzo Medico, ordinario di Istologia all’Università di Torino, hanno approfondito il ruolo che potrebbe svolgere la carenza di vitamina D, anche in seguito a recentissime raccomandazioni della British Dietetic Association. Un problema, quello della carenza della vitamina D, che in Italia interessa una vasta fetta della popolazione, soprattutto anziana. Sono così emersi alcuni dati che, sintetizzati in un documento sottoposto ai soci dell’Accademia di Medicina di Torino.

Gli autori concludono suggerendo ai medici, "in associazione alle ben note misure di prevenzione di ordine generale, di assicurare adeguati livelli di vitamina D nella popolazione, ma soprattutto nei soggetti già̀ contagiati, nei loro congiunti, nel personale sanitario, negli anziani fragili, negli ospiti delle residenze assistenziali, nelle persone in regime di clausura e in tutti coloro che per vari motivi non si espongono adeguatamente alla luce solare". Anche perché "dati preliminari raccolti in questi giorni a Torino - si legge in una nota dell'Università - indicano che i pazienti ricoverati per Covid-19 presentano una elevatissima prevalenza di ipovitaminosi D".

Inoltre, "potrebbe anche essere considerata la somministrazione della forma attiva della vitamina D, il calcitriolo, per via endovenosa nei pazienti affetti da Covid- 19 e con funzionalità respiratoria particolarmente compromessa". Queste indicazioni derivano da numerose evidenze scientifiche che hanno mostrato: un "ruolo attivo della vitamina D sulla modulazione del sistema immune; la frequente associazione dell'ipovitaminosi D con numerose patologie croniche che possono ridurre l’aspettativa di vita nelle persone anziane, tanto più in caso di infezione da Covid-19. Ma anche un effetto della vitamina D nella riduzione del rischio di infezioni respiratorie di origine virale, incluse quelle da coronavirus. E la capacità della vitamina D di contrastare il danno polmonare da iperinfiammazione", spiegano gli autori.

Cosa fare, allora? "Il compenso di questa diffusa carenza vitaminica può̀ essere raggiunto innanzitutto esponendosi alla luce solare per quanto possibile, anche su balconi e terrazzi, alimentandosi con cibi ricchi di vitamina D e, sotto controllo medico, assumendo specifici preparati farmaceutici". L'Italia, fanno notare gli esperti, è uno dei Paesi europei (insieme a Spagna e Grecia) con maggiore prevalenza di ipovitaminosi D. Nel Nord Europa la prevalenza è minore per l’antica consuetudine di addizionare cibi di largo consumo (latte, formaggio, yoghurt ecc.) con vitamina D. Inoltre "la ridotta incidenza di Covid-19 nei bambini potrebbe essere attribuita alla minore prevalenza di ipovitaminosi D conseguente alle campagne di prevenzione del rachitismo attivate in tutto il mondo dalla fine dell’Ottocento".

Infine "l'insorgenza di un focolaio in Piemonte in un convento di suore di clausura, popolazione a più elevato rischio di ipovitaminosi D, costituisce un altro elemento suggestivo sul possibile ruolo protettivo della vitamina D sulle infezioni virali". Mentre la distribuzione geografica della pandemia "sembra potersi individuare maggiormente nei Paesi situati al di sopra del tropico del cancro, con relativa salvaguardia di quelli subtropicali".

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