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Leucemia linfatica cronica, fino a 15% pazienti rischia Long Covid

PROVETTE ANALISI HIV AIDS (Aresu, MILANO - 2004-08-02) p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate - FOTOGRAMMA
PROVETTE ANALISI HIV AIDS (Aresu, MILANO - 2004-08-02) p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate - FOTOGRAMMA
03 ottobre 2023 | 16.44
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Fino al 15% delle persone con leucemia linfatica cronica (Llc) guarite da Covid può sviluppare segni e sintomi di Long Covid, la sindrome post-infezione da Sars-CoV-2, che mostra un trend in aumento nel mondo. Il dato arriva da uno studio coordinato da Andrea Visentin del Dipartimento di Medicina dell'università di Padova, pubblicato sull''American Journal of Hematology'. Il lavoro si basa sui dati raccolti da oltre 1.500 pazienti di 80 Paesi del mondo.

"La leucemia linfatica cronica è un tumore raro, ma rappresenta il tipo più frequente di leucemia che colpisce la popolazione occidentale", ricordano dall'ateneo veneto. "Già dall'inizio della pandemia è emerso che i pazienti con malattie ematologiche, in particolare quelli con leucemia linfatica cronica, hanno un rischio elevato di sviluppare forme severe di Covid-19". Ora la ricerca a guida UniPd misura anche l'impatto del Long Covid su questa categoria di pazienti fragili.

Un altro studio riguarda la terapia della Llc. Il suo trattamento "è radicalmente cambiato nell'arco degli ultimi 10 anni - sottolinea Livio Trentin, ordinario della cattedra di Ematologia UniPd e direttore della Uoc di Ematologia dell'Azienda ospedale università di Padova - Quasi tutti i pazienti ricevono farmaci biologici mirati contro le cellule della leucemia. Dato il costo elevato di questi farmaci, è fondamentale capire esattamente come utilizzare al meglio questi farmaci e gestire i possibili effetti collaterali". Per questo "abbiamo coordinato un gruppo di ricerca di 15 istituti sparsi su tutto il territorio italiano, riuscendo a analizzare il più grande gruppo di pazienti con leucemia linfatica cronica con anomalie di TP53 trattati in prima linea di terapia con venetoclax, farmaco biologico in pastiglie in grado di causare la morte delle cellule leucemiche - illustra Visentin, primo autore del lavoro - Questo ampio gruppo nazionale di studio è riuscito a dimostrare l'elevata efficacia e tolleranza di venetoclax come prima linea di terapia, fornendoci importanti notizie con ripercussione pratiche sulla nostra attività quotidiana".

"Questi studi - commenta Trentin - sono frutto di una fondamentale attività di rete che stiamo sviluppando con le ematologie del Veneto grazie alla Rete ematologica veneta (Rev), le ematologie italiane grazie ad Ail-Gimema", Associazione italiana leucemie infomi e mieloma-Gruppo italiano malattie ematologiche dell'adulto, "e i centri europei grazie a Eric", Iniziativa europea di ricerca sulla Llc, "guidata dal professor Paolo Ghia dell'ospedale San Raffaele di Milano".

"L'importanza di questi studi è anche sociale - conclude lo specialista - perché realizzati grazie al contributo dell'associazione di volontariato Ricerca per credere nella vita (Rcv), associazione creata da una nostra paziente Franca Boschello e suo fratello Renzo, e che supporta la mia struttura da circa 20 anni".

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