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Diffamazione, Fratelli d'Italia chiede carcere per giornalisti: spiazzati Lega e Forza Italia

Berrino, relatore del ddl, secondo gli stessi alleati non avrebbe concordato gli emendamenti in maggioranza. Pd e Movimento 5 Stelle in rivolta: "Misura che riporta a Medioevo"

Aula Senato - (Fotogramma)
Aula Senato - (Fotogramma)
11 aprile 2024 | 18.46
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Si infiamma il giovedì del Senato - dove era atteso solo il Question Time - quando dalla Commissione Giustizia di Palazzo Madama filtra la notizia di una serie di emendamenti da poco depositati, a firma di Gianni Berrino di Fratelli d'Italia, che chiedono un inasprimento di pene per il reato di diffamazione a mezzo stampa, pensando pure alla detenzione fino a 4 anni e mezzo di reclusione per i giornalisti e multe fino a 120mila euro per "condotte reiterate e coordinate" relative alla diffusione di notizie false. Una mossa che Berrino, relatore del ddl sulla diffamazione, secondo gli stessi alleati - Lega e Fratelli d'Italia - non avrebbe concordato in maggioranza, e che fa alzare immediata la levata di scudi della Federazione della Stampa e dei partiti di opposizione che tornano a parlare di bavaglio alla stampa.

"La diffamazione, anche a mezzo stampa, è sempre stata punita con la pena detentiva dalla legge. Noi, con norma più liberale, eliminiamo la detenzione per la ipotesi semplice, la riduciamo, pur mantenendola come alternativa alla multa, per il caso di attribuzione di un fatto determinato falso e per l'ipotesi di attribuzione del fatto determinato falso e costituente reato - ha dichiarato Berrino - Le condotte che mantengono una punizione detentiva, seppur sempre attenuata, non sono relative alla libertà di stampa, ma ad un uso volutamente distorto e preordinato al killeraggio morale della libertà di stampa".

Lega e Forza Italia dicono no

Il tema deflagra, e mentre si attende un chiarimento in maggioranza già lunedì, prova a metterci una toppa la presidente di Commissione Giustizia, la leghista Giulia Bongiorno. "Vedremo il da farsi -dice all'Adnkronos- come Lega riteniamo importante focalizzare l'attenzione su titolo e rettifica dell'articolo, per il resto nei prossimi giorni ci saranno delle riunioni di maggioranza", aggiunge, evitando di citare la parola carcere. Da Forza Italia si smarca uno stupito senatore Pierantonio Zanettin: "A noi non interessano le pene detentive, ma la rettifica e che venga ripristinato il buon nome del diffamato, mezzi per fare questo ce ne sono tanti e devono essere diversi dal carcere", avverte l'azzurro.

Di certo le norme presentate da Fdi, disattendono le 'linee guida' finora condivise sul ddl Balboni, a partire dalla consapevolezza che il testo dovesse, innanzitutto, recepire indicazioni europee sulla libertà di stampa e anche quanto sentenziato dalla Corte Costituzionale, da ultimo nel 2011, quando fu chiesto al legislatore di eliminare il ricorso alla carcerazione nella legge di settore. Nessuno, almeno a quanto assicurano da Lega e Fi, si aspettava di dover tornare a discutere della detenzione come pena da infliggere ai giornalisti. Tant'è che qualcuno in maggioranza, chiedendo l'anonimato, parla ora di mossa a sorpresa legandola "ai fatti di cronaca che hanno coinvolto esponenti di governo negli ultimi tempi''.

La reazione di Pd e M5S

Il Partito democratico ne pare convinto: "Questa maggioranza ha proprio un conto aperto con la libertà di informazione", il ricorso a misure detentive per i giornalisti "è un retaggio barbaro, condannato a più riprese da organismi europei e dalla Corte Costituzionale", dicono i dem della seconda commissione Bazoli, Rossomando, Mirabelli e Verini. Dal M5S, Barbara Floridia parla di "rischi per il tessuto democratico" del paese: "Fratelli d'Italia dovrebbe riflettere seriamente sulle implicazioni di una simile proposta e ritirarla immediatamente", chiede la presidente della Vigilanza Rai. Lo stesso Berrino cerca di placare i toni: "Non è prevista nessuna nuova pena detentiva per i giornalisti", assicura a fine giornata. Anzi "il provvedimento in esame semmai elimina la pena detentiva per alcune ipotesi di diffamazione, salvo continuare a tutelare il cittadino nella sua onorabilità".

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