Nei servizi sanitari, sociali e di cura volti a garantire salute e benessere delle persone.
Sono 2,5 milioni gli occupati, in Italia, nei 'white jobs', ovvero nei lavori nei servizi sanitari, sociali e di cura volti a garantire la salute e il benessere delle persone. Un settore che, nel 2020, potrebbe arrivare a circa 3 milioni e che produce 98 miliardi di valore aggiunto, pari al 7% del prodotto complessivo del Paese. E' quanto emerge dal Rapporto di Italia Lavoro sui White Jobs, presentato oggi a Roma.
"L'aumento è legato all'invecchiamento della popolazione -si legge nel Rapporto- che genera una domanda crescente di servizi sanitari, sociali e personali, e alla maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, che determina la necessità di acquistare i servizi sostitutivi del lavoro domestico".
"Non stupisce che a fonte di queste rapide trasformazioni demografiche -spiega Paolo Reboani, presidente e amministratore delegato di Italia Lavoro- i white jobs abbiano un peso sempre più importante nel mercato del lavoro italiano e che i settori dei servizi sanitari, sociali e alla persona registrino una crescita del 70% rispetto al 2000".
"Sono settori nei quali prevale -ricorda- un’occupazione stabile, dal momento che i lavoratori dipendenti sono in larga maggioranza (89%) e il 91% di loro è assunto con contratto a tempo indeterminato. Non si può non osservare che la sostenibilità del sistema si regge anche su quasi un milione di volontari che prestano la loro opera gratuitamente soprattutto nelle istituzioni non profit".
"Sono coinvolte nei white jobs le professioni più qualificate come quelle dei medici e dei tecnici dei servizi sanitari e sociali -continua Reboani- ma anche quelle non qualificate degli addetti ai servizi domestici e alla persone. Il livello d’istruzione di questi lavoratori è nettamente superiore a quello complessivo, dal momento che solo un quarto ha conseguito al massimo la licenza media, il 39% è diplomato e il 35% ha la laurea".
"Desta una certa sorpresa che anche -avverte- il 10% del personale domestico abbia il titolo terziario. Operano in questi settori imprese, prevalentemente piccole, liberi professionisti, istituzioni pubbliche e non profit, ma anche famiglie come datori di lavoro domestico. Ma dal rapporto emerge che, diversamente da quanto si registra negli altri settori economici, la modesta dimensione delle aziende che operano nei settori della sanità e dell’assistenza sociale (escluse le istituzioni pubbliche e non profit) non impedisce alti livelli di produttività e d’investimenti. Quasi la metà degli addetti lavora presso istituzioni pubbliche, tuttavia questa quota si è ridotta notevolmente, mentre sono aumentate le percentuali delle imprese private e delle istituzioni non profit".
Paolo Reboani ricorda anche la proposta di voucher universale per i servizi alla persona e alla famiglia "presentata da parlamentari di molti gruppi politici, la cui sperimentazione è prevista dal governo nelle linee guida per la riforma del Terzo settore, come strumento d’infrastrutturazione del 'secondo welfare' e per 'valorizzare lo straordinario potenziale di crescita e occupazione insito nell’economia sociale'".
"La proposta punta a favorire -precisa- la costruzione di un sistema di servizi alla persona e alla famiglia di qualità e con costi sostenibili che faciliti la conciliazione tra vita privata e lavoro, al fine di contribuire alla crescita dell’occupazione femminile. L'obiettivo è anche quello di rendere sostenibile un moderno sistema di welfare aziendale, familiare e pubblico a favore dell’infanzia e delle persone non autosufficienti basato sul principio della sussidiarietà, che mobiliti risorse anche private".
"I voucher vanno anche nella direzione -ammette Reboani- di promuovere la crescita dell’occupazione regolare e di maggiore qualità nel comparto degli household services e di far emergere il lavoro nero, così diffuso in questo settore, anche per recuperare risorse aggiuntive e maggior gettito fiscale e contributivo".