Il presidente della Camera dei rappresentanti di Tobruk all'Adnkronos: "Chiediamo sostegno per risolvere la crisi, per riprendere il dialogo politico intralibico e dare vita a un nuovo governo"
L’Italia deve sostenere il cessate il fuoco in Libia, per evitare "una guerra violenta che è un male per tutti", e la ripresa del dialogo politico. E’ quello che il presidente della Camera dei rappresentanti di Tobruk, Aguila Saleh - alla sua prima visita nel nostro Paese dalla conferenza di Palermo nel novembre di due anni fa - chiederà negli incontri che avrà oggi a Roma al massimo livello istituzionale (la presidente del Senato Elisabetta Casellati, il presidente della Camera Roberto Fico, il premier Giuseppe Conte ed il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che lo aveva invitato nelle scorse settimane).
"All’Italia – dice in un’intervista all’Adnkronos – chiediamo sostegno per risolvere la crisi libica, per riprendere il dialogo politico intralibico e dare vita a un nuovo governo". Saleh nei mesi scorsi ha presentato una sua iniziativa, che prevede l’elezione di un presidente e di due vice presidenti rappresentativi delle tre regioni della Libia (Tripolitania, Cirenaica e Fezzan), che dovrebbero nominare il premier e dare vita a un governo da sottoporre a voto di fiducia del Parlamento.
Saleh è reduce da una visita a Ginevra dove ha incontrato il rappresentante ad interim del segretario generale dell’Onu, Stephanie Williams, alla quale ha detto di essere pronto ad avviare un dialogo con il Consiglio di Stato di Tripoli. "E’ un’istituzione che noi non riconosciamo – sottolinea il presidente del Parlamento di Tobruk – ma il dialogo deve riprendere".
E poi l’Italia deve sostenere il cessate il fuoco, perché, "se non ci sarà, la Libia diventerà teatro di una guerra violenta che è un male per tutti". "La Libia - insiste Saleh - non deve diventare un teatro di operazioni militari che rechino danno agli impianti petroliferi e alle istituzioni vitali".
PETROLIO - Il blocco alle esportazioni di petrolio durerà "fino a quando non saranno state soddisfatte le nostre richieste, che sono quelle di un’equa distribuzione dei profitti a tutti i libici", ribadisce Saleh sulla posizione dell’est rispetto al blocco petrolifero, sul quale sembrava essere stato raggiunto un accordo nei giorni scorsi, e le accuse al governo di Serraj, che utilizza "i proventi per pagare le milizie ed i mercenari".
"Il petrolio è una ricchezza che appartiene a tutti i libici – dice Saleh all’Adnkronos alla vigilia dei suoi incontri romani – Il 70% del petrolio si trova a est e a sud, ma gli introiti sono sotto il controllo del governo di Tripoli, che li usa per pagare milizie e mercenari, un giorno ha distribuito 2,5 miliardi di dinari libici alle milizie e ai mercenari, invece che alla popolazione per comprare cibo e medicinali". Il presidente del Parlamento di Tobruk spiega che è questa la ragione per cui le tribù della Cirenaica nei mesi scorsi "hanno deciso di chiudere gli impianti, perché vogliono un meccanismo di distribuzione della ricchezza attraverso un Paese terzo, in attesa della nascita di un nuovo governo, o una commissione dell’Onu".
"E’ ingiusto che il denaro non arrivi a tutti i libici, ma solo a una parte”, denuncia Saleh, spiegando l’Esercito nazionale libico (Lna) "ha solo il compito di tenere sotto controllo gli impianti". "La nostra – insiste – è una richiesta legittima dal punto di vista umanitario. Le esportazioni petrolifere riprenderanno quando saranno soddisfatte le nostre richieste".
ENI - "Noi non consentiremo che gli interessi dell’Eni in Libia siano toccati", assicura all'Adnkronos il presidente del Parlamento di Tobruk. "L’Eni è una grande azienda, è un’azienda importante per la Libia", dice Saleh, che parla poi di "una partnership vera con l’Italia in molti settori, per la ricostruzione del Paese". "Noi vogliamo che continui il suo lavoro", sostiene.
SIRTE - Se le forze del governo di accordo nazionale libico dovessero attaccare Sirte, la città natale di Muammar Gheddafi ultimo avamposto di Khalifa Haftar a ovest, "si troverebbero davanti ad una resistenza fortissima, sia da parte nostra, che da parte dei paesi che ci sostengono", avverte Saleh, nel caso di un’offensiva del Gna contro Sirte. "Non ci sarebbe alcuna giustificazione – ammonisce intervistato all'Adnkronos – Loro sanno che se attaccano ci sarà una guerra violenta e nessuno sa che esito avrà. Credo che loro sappiano di non poterlo fare, bisogna rispettare la volontà della comunità internazionale che chiede il cessate il fuoco".
USA - "Con gli Stati Uniti abbiamo un buon rapporto, ma vorremmo fosse migliore", sostiene Saleh, sottolineando di aver avuto un contatto con l’ambasciatore americano a Tripol, Richard Norland, che "sostiene la soluzione politica della crisi in Libia, che la soluzione militare non è un’alternativa, la dichiarazione del Cairo ed il cessate il fuoco".
HAFTAR - Con Khalifa Haftar, spiega all'Adnkronos, "ogni tanto abbiamo delle divergenze, e questo è un bene, ma condividiamo un obiettivo comune, che è quello della stabilità della Libia". Saleh parla così del suo rapporto con il generale, con il quale spesso viene messo in competizione. "Possiamo avere opinioni divergenti – dice all’Adnkronos – ma siamo sempre in contatto". "Qualche volta – spiega – uno crede che una soluzione debba seguire un certo percorso e l’altro uno diverso, ma l’obiettivo comune è di risolvere la crisi libica e mantenere la stabilità, la sicurezza e la democrazia". Era d’accordo con l’offensiva lanciata da Haftar 17 mesi fa contro Tripoli? "Dal punto di vista semantico è sbagliato parlare di attacco – sostiene Saleh – perché l’Esercito ha il dovere di garantire la sicurezza, di difendere la Costituzione e di combattere il terrorismo".
ERDOGAN - Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha mandato in Libia "15mila uomini", tra mercenari e ufficiali dell’esercito, "alcuni dei quali sono nostri ostaggi", spiega ancora Saleh, secondo cui invece "a est non c’è nessun mercenario, nessun mercenario combatte al fianco dell’Esercito nazionale libico".