L'annuncio del leader supremo: “Potreste pensare che questa sia una violazione dei diritti delle donne ma io rappresento Allah e voi rappresentate Satana"
Uccise a sassate. Questa la sorte che d’ora in poi aspetta le donne afghane che oseranno avere una relazione fuori dal matrimonio. Un’ulteriore pietra sulla tomba dei diritti, in particolar modo femminili, che i talebani stanno scavando nel loro Paese nel nome di una sharia (l’insieme di regole di vita e di comportamento dettato da Dio per la condotta morale, religiosa e giuridica dei suoi fedeli) sempre più integralista.
“Potreste pensare che questa sia una violazione dei diritti delle donne ma io rappresento Allah e voi rappresentate Satana", ha detto Hibatullah Akhundzada, il leader supremo dei talebani, annunciando nei giorni scorsi urbi et orbi attraverso Radio Television Afghanistan: “Fustigheremo le donne, le lapideremo a morte in pubblico per adulterio”.
E in effetti lo pensiamo: è una violazione dei diritti delle donne, l’ultima, probabilmente solo in ordine di tempo, di tante violazioni che stanno rendendo l’Afghanistan un vero inferno. Questione di punti di vista, ha chiarito Akhundzada nel suo messaggio: “I diritti di cui parlano gli occidentali sono contrari alla sharia e alle opinioni del clero”. Per essere ancora più chiaro, ha aggiunto, riferendosi alla ripresa del potere da parte dei talebani nell’agosto 2021: “Il nostro lavoro non si è concluso con la conquista di Kabul (la capitale, ndr), ma è appena iniziato”. Il che non lascia presagire nulla di buono.
Nell’agosto 2021 i talebani sono tornati al potere dopo 20 anni, a seguito della inopinata ritirata dal Paese degli Usa e della Nato. Ricordiamo tutti le immagini degli afghani che scappavano di corsa, letteralmente assaltando gli aerei per poter fuggire altrove, un altrove qualunque.
Da quel momento, il governo de facto ha abrogato la Costituzione e i codici civili e penali esistenti, ripristinando al loro posto un’interpretazione rigida e fondamentalista della sharia. E ha sistematicamente smantellato i diritti delle donne, che ormai sono segregate e rese invisibili. Attraverso l’obbligo di indossare il burka, che le copre da capo a piedi lasciando semiscoperto solo un velo sugli occhi, ma anche per l’isolamento praticamente totale in cui sono relegate: non possono lavorare, viaggiare da sole, andare al parco o in ritrovi pubblici, dal parrucchiere o nei centri estetici, e sopra i 12 anni non possono nemmeno più studiare.
Il ripristino ufficiale e con tanto di giustificazione religiosa della lapidazione è un gradino ulteriore nella discesa verso la tragedia. Una stretta integralista che riporta tutto agli anni ’90, al periodo del primo regime talebano (1996-2001), che già prevedeva le punizioni corporali pubbliche, comprese frustate e amputazioni, in luoghi come gli stadi sportivi, in modo da educare e spaventare il popolo.
D’altronde il presupposto, espresso dal mullah Nooruddin Turab, allora direttore ad interim dell'Ufficio de facto dell'amministrazione penitenziaria, all'Associated Press in un’intervista nel 2021, è che "tagliare le mani è molto necessario per la sicurezza".
In seguito, durante i 20 anni di conflitto armato che hanno seguito la loro caduta nel dicembre 2001, i talebani hanno continuato a eseguire punizioni ed esecuzioni nelle aree sotto il loro controllo. Secondo i dati della Missione di Assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (Unama), tra il 2010 e il 2021 ci sono state almeno 182 punizioni giudiziarie eseguite dai talebani, per un totale di 213 morti e 64 feriti.
La ‘sentenza’ veniva emessa da un giudice o da una commissione talebana, in base a interpretazioni religiose o tradizionali di consuetudini o leggi. Le punizioni inflitte includevano frustate, percosse, amputazioni, fucilazioni, decapitazioni e impiccagioni.
Sempre secondo il rapporto Unama, dal 2021 al 2022 nel Paese sono stati frustati pubblicamente almeno 307 uomini, 80 donne e 4 bambini (da 30 a 100 colpi, difficilmente possiamo immaginare cosa significhi). Inoltre, due persone sono state lapidate. Le loro colpe? Adulterio, fuga da casa, omosessualità, consumo di alcol, frode e traffico di droga.
Per far capire ancora meglio il clima che si respira nel Paese, che opprime soprattutto le donne ma non risparmia nemmeno gli uomini, basti pensare che nel 2022 nella provincia di Mayan, due bambine e una donna sono state picchiate perché non portavano il burqa, e altre sei a Kabul sono state frustate perché avevano le caviglie scoperte. E che molti uomini sono stati percossi per essersi tagliati troppo la barba, per non essere andati in moschea il venerdì o anche solo per aver ascoltato musica in automobile.
Infine, lo scorso febbraio, i talebani hanno giustiziato delle persone in pubblico negli stadi nelle province di Jawzjan e Ghazni, costringendo i cittadini ad assistere per vedere con i propri occhi cosa rischiano anche loro se non si adeguano.
L’Afghanistan non è l’unico Paese a prevedere ancora la pena capitale per lapidazione: l’adulterio è uno dei sette crimini soggetti a sanzioni ‘hudud’, prescritte dal Corano e dal profeta Maometto, ovvero: apostasia, rivolta contro chi governa, furto, rapina, adulterio, calunnia e uso di bevande alcoliche. Le punizioni previste seguono una sorta di legge del taglione: l’amputazione della mano destra per il furto, della mano destra e del piede sinistro per la rapina, la morte per l’apostasia.
C’è poi un dettaglio ancora più macabro per quello che riguarda la lapidazione: gli uomini vengono prima interrati fino alla vita, le donne fino alle spalle, braccia comprese. Questo perché, se per caso il condannato riesce a liberarsi, avrà salva la vita. E per le donne, in questo modo, è pressoché impossibile riuscirci.
In ogni caso, va detto che la maggior parte delle comunità islamiche ha rinunciato alle sentenze hudud, ma allo stesso tempo i musulmani integralisti le mantengono. Infatti, i gruppi jihadisti le impongono nei territori sotto il loro controllo, come il sud della Somalia e il nord della Nigeria (la cui Costituzione invece le vieta).
La lapidazione per adulterio è ancora prevista anche in Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iran (abolita nel 2012 e reintrodotta nel 2013), Sudan e infine Pakistan, dove tuttavia non si riportano casi.
Unanimi le reazioni delle attiviste: di condanna verso i talebani certo, ma anche di denuncia del silenzio occidentale. Di fronte a questa “flagrante violazione delle leggi internazionali sui diritti umani”, come l’ha definita Samira Hamidi, attivista afghana e sostenitrice di Amnesty International, dal mondo ‘civilizzato’ sta arrivando solo silenzio.
“Le donne afghane sono abbandonate nella più completa solitudine”, ha detto al Guardian Safia Arefi, avvocata e responsabile dell’organizzazione afghana Women’s Window of Hope, sottolineando: “Ora nessuno è al loro fianco per salvarle dalle punizioni talebane. La comunità internazionale ha scelto di rimanere in silenzio”.
Preoccupata dall’escalation restrittiva dei talebani Sahar Fetrat, ricercatrice afghana di Human Rights Watch, che sempre al Guardian ha evidenziato: “Due anni fa non avrebbero mai avuto il coraggio di dire in pubblico una cosa del genere. Ora lo fanno perché non c’è nessuno che li ritenga responsabili degli abusi. Attraverso i corpi delle donne afghane, i miliziani mostrano di avere il controllo morale, sociale e politico. Se nessuno li fermerà faranno peggio”.
Intanto i talebani si trincerano dietro la religione, si fanno portavoce di Allah, ma per quanto riguarda le cose molto terrene il loro Paese si conferma il più infelice del Mondo, secondo il World Happiness Report 2024. Ancora di più per i 14 milioni di donne afghane, per le quali la parola ‘diritto’ o anche solo ‘serenità’ sono un ricordo lontano e sempre più sbiadito. Ma è evidente che non è certo la felicità l’obiettivo dei talebani.