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Apple e Meta, in bilico il monopolio di big tech su musica e news

La difesa della concorrenza e la corretta remunerazione dei contenuti restano i nodi da sciogliere

Meta, Facebook
Meta, Facebook
04 marzo 2024 | 18.01
LETTURA: 3 minuti

Due notizie sono più di un indizio e iniziano a delineare una prova. Il monopolio di fatto di big tech sulla fruizione di musica e news inizia a vacillare. La maxi multa a Apple per abuso di posizione dominante da parte dell'Antritrust Ue, oltre a richiamare il precedente illustre della crociata di Mario Monti contro Microsoft, riporta in primo piano il tema della concorrenza. Mentre la decisione di Meta di archiviare Facebook News nei paesi in cui il servizio era attivo crea una ulteriore difficoltà al mercato dell'editoria, a livello globale. Il gigante guidato da Mark Zuckerberg non pagherà più per ripubblicare notizie negli Stati Uniti e in Australia, a partire da aprile 2024, dopo la scelta già consumata a settembre 2023 in Regno Unito, Francia e Germania. In Italia non cambia nulla, perché il servizio non è mai stato attivato.

Tutela del mercato e interessi di parte, un equilibrio che non c'è più

Sono due notizie diverse che hanno una stessa possibile lettura. Tenere insieme le regole del sistema con gli interessi industriali, vero nodo mai sciolto nell'ascesa e nella consacrazione dei big tech, si dimostra un obiettivo sempre più difficile da raggiungere. Per tutte e due le parti in causa. Perché per difendere la tutela del mercato è ancora necessario sanzionare e perché i giganteschi utili dei colossi Apple, Meta, Microsoft, Google e Amazon sono sempre più difficili da replicare in un contesto che si evolve rapidamente e che l'intelligenza artificiale aspira a sconvolgere.

La musica, il dilemma della remunerazione dello streaming

Guardando allo streaming musicale, ci sono le esigenze di un mercato che non può essere lasciato al monopolio, o all'oligopolio di pochissimi, con le autorità Antitrust che intervengono nel tentativo di ristabilire un equilibrio rotto ormai da anni. Quando si sostiene che Apple controlla ogni aspetto dell'esperienza dell'utente e che gli utenti hanno pagato prezzi più alti a causa delle commissioni imposte, si mette nero su bianco il fallimento del mercato, che non è stato in grado di autoregolarsi per il comportamento di chi, la casa di Cupertino, può contare su una evidente posizione dominante. Un vantaggio che ha portato nelle casse di Apple introiti ben superiori rispetto all'entità della sanzione, pure rilevante, di 1,8 miliardi di euro.

Il mercato delle news, un bolla che sta definitivamente esplodendo?

Entrando nel mercato dell'informazione, sembra arrivare alla definitiva esplosione la bolla che negli anni è stata alimentata con l'utilizzo sostanzialmente libero delle notizie da parte di Facebook, e degli altri grandi aggregatori, in cambio di visibilità e accessi, spesso pompati da generose campagne pubblicitarie. Oggi, con i rubinetti del traffico praticamente chiusi, emerge ancora una volta il tema mai realmente sviluppato compiutamente della remunerazione dei contenuti editoriali in Rete. Perché il tentativo di riconoscerla con accordi nei singoli mercati si è rivelato per Meta sostanzialmente antieconomico. Da qui, il passo indietro e la progressiva uscita dal mercato delle news.

Le conseguenze, per gli utenti e per gli editori

Cosa cambia per utenti che cercano musica in streaming con la maxi multa a Apple? La logica delle sanzioni Antitrust è quella di punire un abuso che penalizza gli utenti e ristabilire condizioni che, al contrario, favoriscano un accesso più equo al mercato. In questo caso, non è di certo detto che il beneficio sia automatico ma il presupposto della decisione è questo. E cosa cambia per gli editori con il passo indietro di Meta? Delineare le conseguenze è più complicato, posto che nel caso del mercato italiano non cambia nulla. A livello più ampio, archiviata ormai la fase in cui i social network facevano da traino alle notizie online, la sfida principale resta quella di trovare rapporti più corretti possibile con i big tech, e da tempo a pesare sono molto di più gli algoritmi di Google dei post di Facebook, Instagram, LinkedIn o TikTok, e soprattutto una modalità di remunerazione diretta che la quantità di abbonamenti online di certo non sono ancora in grado di assicurare. (Di Fabio Insenga)


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