La diciassettenne afghana rimpatriata oggi pomeriggio, il padre fu ucciso dai talebani
(dall'inviata Elvira Terranova) - Il corpo senza vita di Maryam Safari, 17 anni, poco dopo le 14, lascia la camera ardente del Palamilone di Crotone a bordo di un carro funebre della ditta 'Ahammer Bestattungen' di Weilheim, in Baviera. Il rimpatrio, costato quasi seimila euro, è stato possibile solo grazie alle donazioni fatte dai cittadini tedeschi dopo il naufragio di Steccato di Cutro (Crotone). A guidare il carro è un impiegato tedesco arrivato oggi dalla Germania per portare la salma in Baviera. "Sono qui solo grazie al cuore grande dei tedeschi", dice infastidito. "Altrimenti chissà quando sarebbe stato possibile portare questa ragazza in Germania...", aggiunge. La sorella di Maryam, Niyayesh di 7 anni, è ancora dispersa in mare. Mentre la mamma di Maryam, Leila, e il fratellino, Martim, di dieci anni, sono ricoverati all'ospedale 'San Giovanni Di Dio' di Crotone.
La madre viaggiava da sola con i suoi tre figli su quel barcone che all'alba del 26 febbraio si è schiantato sulla secca di Steccato. Il marito era stato ucciso poco tempo fa dai Talebani in Afghanistan. E da allora il suo più grande desiderio era quello di lasciare un paese vicino Kabul per raggiungere i suoi parenti in Germania, a Weilheim, a Sud di Monaco.
"Mio marito è stato ucciso dai talebani e io sono dovuta fuggire dall'Afghanistan per proteggere i miei tre figli. Non avrei mai pensato di vedere morire sotto i miei occhi le mie bambine, annegate. A pochi metri dalla costa. E non ho potuto fare niente per salvarle. Sono andate giù, tra le onde. Ho provato a salvarle ma il mare me le ha strappate dalle mani", ha raccontato Leila all'Adnkronos, attraverso il nipote, Mohamed Djafari arrivato da Monaco in macchina. La donna è ricoverata da 9 giorni in ospedale per un trauma cranico. Ha ancora ematomi visibili su tutto il viso. E' ricoverata all'ospedale di Crotone, insieme con il figlio Martim di 10 anni. L'unico dei tre figli rimasto vivo. Lo tiene stretto e lo abbraccia, lo accarezza. "Mia zia voleva raggiungere me in Germania - dice il cugino Mohamed tra le lacrime - non voleva restare in Italia. Voleva solo raggiungere i miei familiari in Germania. Invece ha perso tutto, le sue due figlie. Dopo avere perso il marito, ucciso dai talebani in Afghanistan, alcuni anni fa".
E' lui a chiedere di potere portare la salma di Maryam in Germania. "L'Afghanistan - dice all'Adnkronos - non merita la sepoltura di mia cugina. Quel paese è solo morte e distruzione. Perché da quando ci sono i talebani hanno solo portato morte. Prima hanno ucciso mio zio, poi hanno costretto mia zia a partire per raggiungere noi in Germania. No, non sarebbe stato giusto riportare Maryam in Afghanistan". Adesso la richiesta è quella di potere ricongiungersi con la zia e il cuginetto a Weilheim.
Ma si devono aspettare le procedure previste. Quella notte, tra il 25 e il 26 febbraio, Leila, aveva chiamato, alle 3.40 il nipote Mohamed per dirgli che vedeva le luci delle coste e che era felice di essere arrivata. "Tra poco approdiamo e ci portano al centro d'accoglienza - ha detto al cugino - ti chiamo poi domani mattina con calma". La telefonata della mattina dopo è arrivata, ma è una telefonata disperata. Che raggela Mohamed.
"Mi ha chiamata alle 10.45 gridando dalla disperazione - racconta Mohamed all'Adnkronos - 'Le mie bambine sono morte!' ha detto. Io non capivo, ero frastornato. Poi me lo ha ripetuto ancora. E io ho subito organizzato il viaggio in macchina dalla Germania fino a Crotone". E Mohamed è qui da una settimana. In attesa di capire come muoversi. "Ci hanno preso tutti in giro per una settimana, tutte le istituzioni - dice amareggiato - nel frattempo nel mio paese in Germania hanno avviato una raccolta di fondi per il rimpatrio. E oggi è stato possibile portare Maryam a Weilheim. Altrimenti chissà quanto tempo ancora avremmo dovuto aspettare".