L'uomo, Andrea Favero di 38 anni, è stato arrestato con l'accusa di omicidio volontario. Il magistrato: "I vuoti di memoria sono messa in scena"
Giada Zanola, la 33enne precipitata dal cavalcavia di Vigonza (Padova) ieri mattina, non si è suicidata ma sarebbe stata uccisa dal suo compagno, Andrea Favero, 38 anni, fermato nella notte con l'accusa di omicidio. La coppia, che ha anche un bambino di 3 anni, era da tempo in crisi.
L'omicidio, secondo la ricostruzione di Polstrada, Squadra mobile e Scientifica, è avvenuto al culmine di una lite che i due hanno avuto proprio mentre si trovavano sul ponte, poco distante dalla loro abitazione. L’uomo l’avrebbe fatta cadere sulla carreggiata dell’autostrada, un salto di quindici metri. Alcune automobili sono riuscite ad evitarla, poi la donna è stata investita mortalmente da un camion. Il 38enne è accusato di omicidio volontario ed è stato portato in carcere a Padova.
L'uomo avrebbe fatto delle parziali ammissioni di fronte al pm e agli investigatori che su di lui hanno notato anche lividi ed escoriazioni. Dinanzi al pubblico ministero di Padova, il 38enne avrebbe ammesso il suo stato di disagio per la relazione ormai in crisi e la preoccupazione di non poter più vedere il figlio di 3 anni avuto con la compagna.
"lo non ho memoria precisa di come si siano svolti i fatti ieri notte ho come un vuoto. Ricordo che eravamo a casa...poi però abbiamo cominciato a litigare e Giada si è allontanata a piedi verso il cavalcavia che passa sopra l'autostrada che dista circa un chilometro da casa nostra. Io ho preso l'auto e l'ho seguita raggiungendola dopo pochi metri da casa e facendola salire per portarla a casa". Ma "continuavamo a litigare, nel senso che lei mi sbraitava addosso come spesso ultimamente faceva dicendo che mi avrebbe tolto il bambino e non me lo avrebbe più fatto vedere", bimbo che "è la mia ragione di vita" ha detto al sostituto procuratore di Padova Giorgio Falcone.
"A quel punto ricordo che siamo scesi dall'autovettura, ma qui i ricordi si annebbiano perché ricordo solo che mi continuava a ripetere che mi avrebbe tolto il bambino, ma non ricordo se e come ho reagito. Non ricordo se siamo saliti sul gradino della ringhiera che si affaccia sull'autostrada che funge da parapetto".
"Sono tornato a casa da solo, di quel momento - ha proseguito Favero nell'interrogatorio - non ricordo altro, so solo che ho pensato subito a mio figlio e al fatto che lo avevamo lasciato a casa da solo, cosa che non era mai successa, per cui sono tornato immediatamente a casa. In quel momento io avevo solo mio figlio nella testa e non ricordo di avere mai pensato a cosa fosse successo a Giada. Mi sono addormentato quasi subito. Non ricordo che Giada sia caduta dal parapetto, ricordo solo che mi continuava a offendere e ricattarmi dicendo che mi avrebbe portato via mio figlio" aggiunge al sostituto procuratore di Padova Giorgio Falcone.
"Alle 7.30 - ha proseguito Favero - ricordo di essermi svegliato e di essermi accorto che Giada non c'era tanto è vero che le ho mandato un messaggio chiedendole se fosse già andata al lavoro e dicendole che non ci aveva nemmeno salutato come era solita fare".
Il pm di Padova Giorgio Falcone dà atto che il messaggio è presente (ore 7.38) nella chat presente nel telefono dell'indagato. Breve ma indicativo il testo: "Sei andata al lavoro?? Non ci hai nemmeno salutato!!".
"I vuoti di memoria dell'indagato potrebbero far parte della cosiddetta messa in scena al fine di non scoprire troppo le carte, ma i movimenti dell'auto ripresi dalle telecamere e le sue pur parziali ammissioni rendono evidente che i fatti si sono svolti come da lui spontaneamente ammesso poco prima dell'interrogatorio parlando con la polizia". Si legge in uno dei passaggi del fermo firmato dal pm di Padova nei confronti di Andrea Favero.
Nel provvedimento si sottolinea come durante l'interrogatorio, il 38enne "forniva una versione poco credibile", una versione "addomesticata e reticente" che ha propinato anche alla madre alla quale racconta che sono "andati tutti regolarmente a dormire". L'indagato "è arrivato a simulare di avere appreso della morte della compagna solo dopo avere letto un messaggio in una chat: 'lo quando è arrivata la polizia chiedendomi di Giada ho sperato che lei stesse bene e ho appreso della sua morte solo da un messaggio postato sulla chat del quartiere in cui abito'", si legge nel dispositivo di fermo.
"Appare chiara dalle stesse parole dell'indagato l'esistenza di un forte movente per l'omicidio, accompagnato da un dolo che, allo stato degli atti, può qualificarsi come dolo d'impeto: il suo viscerale attaccamento al figlio che accudiva ni ogni modo, a fronte della continua minaccia ricattatoria della vittima che faceva leva proprio su tale rapporto viscerale, prospettando al possibilità di portargli via li figlio e non farglielo vedere più" sottolinea il pm.
"L'indagato ha subito una serie di 'colpi' che lo hanno caricato al punto di perdere completamente la testa e uccidere la Zanola", come "l'annullamento delle nozze già fissate, i problemi economici, la vita da separati in casa, la possibile fine della convivenza che avrebbe impedito all'indagato di avere rapporti quotidiani con il figlio, le continue minacce di togliergli il figlio e non farglielo più vedere, reiterate anche e soprattutto pochi istanti prima dell'omicidio. Tutte circostanze che hanno concorso a creare il corto circuito che ha condotto l'indagato all'omicidio", conclude il sostituto procuratore.