(di Elvira Terranova) -"Anche se oggi Giusva Fioravanti confessasse di essere il killer di Piersanti Mattarella, non potrebbe più essere condannato, perché la sentenza di assoluzione è diventata definitiva. Però ritengo utile fare ulteriori approfondimenti, perché possono essere intercettate altre responsabilità. E potrebbe emergere il coinvolgimento di altre persone. Non bisogna mai rinunciare alla ricerca delle verità". Leonardo Agueci è il magistrato che rappresentò l'accusa nel processo d'appello per l'omicidio dell'ex Presidente della Regione siciliana, Piersanti Mattarella, ucciso il 6 gennaio di quarant'anni fa in via Libertà a Palermo. L'allora sostituto procuratore generale di Palermo nel 1998 aveva chiesto la condanna per il terrorista Fioravanti, riprendendo le tesi di Giovanni Falcone. "Ci credevo e ci credo tuttora alla colpevolezza di Fioravanti - dice Agueci - dalla lettura degli atti mi ero reso conto che c'erano tutti gli elementi per portare alla condanna di Fioravanti".
Invece, il 17 febbraio del '98, i giudici d'appello confermarono l'assoluzione di Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini e la condanna dei boss di Cosa nostra. Per i giudici della Corte d'assise d'appello di Palermo Cosa nostra non si sarebbe potuta avvalere della 'collaborazione' esterna di killer. Sentenza diventata definitiva. "Oggi rispetto agli anni Novanta si è acquisita maggiore consapevolezza della possibilità di dialogo che esisteva tra mafia e altri ambienti criminali", dice l'ex Procuratore aggiunto di Palermo, Leonardo Agueci in una intervista all'Adnkronos.
"E' vero - spiega Agueci - i giudici di secondo grado dissero che la mafia non poteva affidarsi a un killer esterno. Vi erano però fatti concreti che indicavano la partecipazione di Fioravanti mentre non è mai stato acquisito anche successivamente alcun elemento di prova concreto che potesse individuare un diverso esecutore".
La pista neofascista, basata su un presunto scambio di favori tra mafia e terrorismo di estrema destra, era partita dal riconoscimento di Fioravanti, fatto dalla vedova Mattarella, Irma Chiazzese, che era in compagnia del marito quel 6 gennaio del 1980, quando il presidente siciliano fu ucciso mentre andava alla messa per l'Epifania. Un riconoscimento avvenuto a distanza di anni dopo le dichiarazioni di Cristiano Fioravanti che chiamavano in causa il fratello Valerio. "Questo fortissimo elemento di prova- dice Agueci - assieme a tanti altri oggettivi riscontri non sono stati riconosciuti però sufficienti per affermare la colpevolezza dei terroristi neri".
Di recente si è parlato anche dell'ipotesi che l'arma usata per l'uccisione di Mattarella potrebbe essere stata usata anche per l'omicidio del giudice Mario Amato. Ma nella nuova inchiesta del Ros dei carabinieri, coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, qualsiasi comparazione con i proiettili estratti dal corpo di Mattarella, a causa del lunghissimo tempo trascorso dal fatto, è sostanzialmente impossibile.
"Ci sono stati numerosi elementi di prova che indicavano Fioravanti come killer di Mattarella - dice Leonardo Agueci - ora, tutti questi elementi, che in altre situazioni probabilmente sarebbero stati sufficienti per ritenere la responsabilità di un individuo, in questo caso, perché non sono state ritenute valide? Perché hanno trovato come ostacolo un ragionamento esterno, cioè che la mafia non poteva tollerare che un'azione così eclatante la presenza attiva di un soggetto che non ne facesse parte. Il vero argomento che viene citato nelle sentenze è questo".
"Giovanni Falcone aveva chiara la possibilità di collaborazione tra la mafia e soggetti esterni. Quando il giudice parla di 'menti raffinatissime' non parla certo dei corleonesi - dice ancora l'ex magistrato, oggi in pensione - Ed emerge anche dalla sua audizione davanti alla Commissione nazionale antimafia". Agueci si chiede che "questa obiezione di carattere logico abbia argomenti concreti" e se "alla prova di fatto, è una obiezione che ha ancora senso". "Insomma, è ancora insuperabile o si può superare? Secondo me non è cosi ferreo il dogma della mafia che non accetta collaborazioni 'esterne'".
"Senza fare dietrologia - dice Agueci - basta valutare gli elementi di conoscenza obiettiva che sono molto chiari. Tutti sanno che Mattarella stava per assumere ruolo di responsabilità di primo piano a livello nazionale e questo non era gradito a tanti. Si trattava di riprendere in mano un progetto di Aldo Moro che si era interrotto proprio con la morte violenta dello statista democristiano. Quindi, se parliamo di ipotesi ve ne sono altrettanto valide in entrambe le direzioni, per cui rimangono i dati di fatto". E il magistrato ricorda "il riconoscimento equamente chiaro di Giusva Fioravanti da parte della signora Chiazzese, accompagnato da molti altri elementi di prova emersi nel corso del processo".
Insomma, Agueci sottolinea che "se c'è la possibilità di fare degli accertamenti che all'epoca non furono fatti, si facciano". Perché la ricerca della verità "non si deve mai fermare".
Giusto ieri, in una intervista al Dubbio, Valerio Fioravanti ha ricordato come "Giovanni Falcone non credeva alla mia colpevolezza, egli stesso mi disse che aveva dovuto procedere ugualmente nei miei confronti per via delle pressioni che ricevette". 'Qualche giorno dopo la trasmissione tv - racconta sempre Fioravanti a Il Dubbio - Falcone viene da me al carcere di Rebibbia dove ero recluso, fa uscire la sua scorta e i collaboratori dalla stanza, e dopo avermi chiesto se avevo bisogno di un avvocato mi dice ''Lei ha visto la televisione? Capisce che se io non procedo divento anche io un sodale della P2?' Questa è la spiegazione data per cui Falcone ha dovuto fare il mandato di cattura nei miei confronti".