Secondo la Cassazione risponde di sottrazione di minori il coniuge, già separato, che, all'insaputa o contro la volontà dell'altro coniuge, si allontana trasferendo la residenza del figlio minore in altro comune. La sentenza, riportata da 'Il Quotidiano della P.A.', riguarda il caso di una moglie separata che ha deciso di cambiare città e vita trasferendosi insieme alla figlia di 10 anni.
Questa in breve la vicenda, conclusasi con sentenza della Sesta Sezione della Corte di Cassazione del 29 luglio 2014, n. 33452 la quale ha confermato la condanna inflitta dai giudici di merito per il reato di sottrazione di minore previsto dall'art. 574 del codice penale. Una notte, senza preavviso, l'imputata è partita con la bambina decidendo di trasferirsi nel paese d'origine, senza considerare che così facendo avrebbe impedito l'esercizio della potestà genitoriale del padre.
Tra la casa coniugale e la nuova residenza ci sono 600 km di distanza. Una lontananza non certo abissale ma frutto di una scelta unilaterale in pieno contrasto con la sentenza di separazione che prevedeva incontri frequenti tra padre e figlia sul presupposto dello stesso luogo di residenza.
Inoltre il cambiamento non si qualificava come temporaneo ma come definitivo, quindi inaccettabile. Una interruzione di consuetudini e comunanza di vita, con una totale estromissione del padre (e del giudice) da una scelta così importante come il cambio di città. Alla base della condanna l'impedimento dell'esercizio di tutte le prerogative dell'altro genitore, come la funzione educativa e la vicinanza affettiva. La madre aveva scelto discrezionalmente di interrompere il rapporto tra padre e figlia spezzando un rapporto funzionale alla realizzazione degli interessi della minore.
Compromettere gli affetti familiari e illecito penale quindi, tenendo ancor più da conto il rafforzato contesto in cui si è mossa la riforma della filiazione. Elemento centrale è il dovere di solidarietà che deve ispirare il legame tra genitori e figli. Il quadro delle regole dell'istituto della potestà genitoriale è da intendersi sempre meno come un ''diritto'' e sempre più come ''dovere'' posto a presidio dei diritti fondamentali della persona del minore, anche fuori dal matrimonio e anche quando l'amore è finito.