"L'interpretazione dei dati è una cosa, la loro solidità un'altra". E il dato che arriva dallo studio condotto dall'Istituto nazionale tumori (Int) di Milano, in collaborazione con l'università degli Studi del capoluogo lombardo, l'università di Siena e VisMederi srl è "a mio avviso molto sicuro e solido". Rileva la presenza di anticorpi specifici del coronavirus all'inizio di settembre 2019 in campioni di sangue fra quelli raccolti da quasi mille persone arruolate in uno screening anticancro dell'Int avviato a luglio dell'anno scorso. "Questi dati ci dicono qualcosa che non siamo in grado di capire al momento. Vuol dire che occorre studiare ancora, fare ulteriori ricerche e cercare conferme in altre coorti di pazienti. Ci auguriamo sia uno stimolo per altri gruppi". E' la riflessione di Maria Pia Abbracchio, Prorettore vicario con delega a Ricerca e Innovazione dell'università degli Studi di Milano.
Il suo è un invito rivolto ad altri scienziati, spiega all'Adnkronos Salute: "Si guardi in maniera retrospettiva nei campioni di sangue conservati in data antecedente all'esplosione" della pandemia di Covid-19 in Italia "e si vada a fare la stessa cosa: vedere se per caso c'era immunoreattività specifica per Sars-CoV-2" già prima del paziente 1 d'Italia, quindi del 20 febbraio 2020. La scienziata entra anche nel dibattito sui dati, che si è acceso nella comunità di esperti dopo che è stato reso noto l'esito "inaspettato" (come recita il titolo stesso) dello studio. "E' un dato che si basa su un saggio di rilevazione degli anticorpi anti Sars-CoV-2 estremamente specifico. Un saggio - puntualizza Abbracchio - che riconosce una parte dello spike del coronavirus tipico ed esclusivo di Sars-CoV-2. Io non ho dubbio alcuno sul saggio. I dati sono sicuri", ripete. "E' chiaro che possiamo interpretarli in tanti modi".
L'interpretazione più semplice è che "questi soggetti" in cui si sono rilevati gli anticorpi "abbiano visto il coronavirus Sars-CoV-2 prima dell'outbreak dell'epidemia. E per avere anticorpi a settembre evidentemente dovrebbero averlo incontrato anche ad agosto 2019, per poter sviluppare una risposta anticorpale specifica. Che fosse una risposta allo stesso identico coronavirus che poi ha causato la pandemia successiva non possiamo dirlo. Possiamo dire che era identico del tutto a Sars-CoV-2 in quella porzione di proteine virali riconosciute dal saggio. Ci terrei a precisare però che, di tutti i coronavirus noti ad oggi, l'unico che ha quella precisa sequenza riconosciuta dall'anticorpo è Sars-CoV-2".
Dunque, sottolinea Abbracchio, che non è fra gli autori ma ha seguito da vicino l'evoluzione della ricerca, "la conclusione più logica è che Sars-CoV-2 si sia manifestato prima di quando abbiamo pensato finora". Certo, "non siamo in grado di escludere che ci potesse essere qualcosa di mai identificato prima, identico a Sars-Cov-2 in quella precisa porzione. Vedo che il dibattito che si è sviluppato è basato sul fatto che alcuni ricercatori vedono questi risultati in contrasto con le tesi formulate finora. Ebbene, io non penso che lo siano. Sono dati affidabili anche quelli su cui poggia l'idea di una data di nascita del virus tra novembre e dicembre 2019, quindi successiva alla nostra misurazione. Io credo a questi dati come credo anche a quanto visto in questo lavoro".
La realtà, incalza il prorettore della Statale, "è che ci manca ancora qualche informazione che risolve questo puzzle. Nella scienza è sempre così: se il dato è solido e appare in contrasto con altri, vuol dire che dobbiamo capire l'anello di congiunzione mancante fra le informazioni raccolte, che poi è la spiegazione corretta. Spiace vedere che si voglia per forza mettere i dati in contrasto uno con altro. Prendiamoli come sono: dati prodotti da gruppi molto seri che lavorano bene, dati che ci dicono qualcosa che non siamo in grado di capire al momento. Mi auguro sia da stimolo per ulteriori approfondimenti".
"Va anche detto - aggiunge l'esperta - che ci sono altri elementi che suggeriscono che Sars-CoV-2 fosse presente prima di gennaio-febbraio 2020. Per esempio, ci sono alcuni lavori che dimostrano la presenza del virus in un paziente in Europa nel novembre del 2019. Ancora, ci sono serie di polmoniti e bronchiti atipiche descritte in molti centri, italiani e non, già nell'autunno 2019, tempistiche che anticipano di almeno tre mesi l'outbreak ufficiale della pandemia. Sono stati descritti anche pazienti 'Covid like' con patologie simili, nell'autunno 2019 a Wuhan in Cina", dove sono stati scoperti e segnalati i primi casi al mondo. Quindi ci sono diversi dati che suggeriscono che il virus poteva già essere in giro, anche se non sappiamo perché non abbia portato subito una pandemia come la vediamo adesso".
In definitiva, dice Abbracchio, "ci sono migliaia di spiegazioni possibili. E quando vedo questo mi ricordo sempre di una frase del Nobel Rita Levi Montalcini, nel suo libro 'Elogio dell'imperfezione'. Lei spiega che quando ti trovi di fronte a un dato inaspettato, non devi cercare di farlo quadrare a tutti i costi con la tua ipotesi. Lascialo lì, osservalo, fai altri esperimenti e prima o poi ti dirà qualcosa e sarà molto più chiaro".
"Non riesco a capire tutta questa reazione così violenta ai dati presentati - conclude - Io posso dire in questo momento che sono sicuri ed è importante che non ci siano bias. Anzi li mettiamo a disposizione della comunità scientifica alla quale chiediamo ulteriori studi, visto che non capiamo le cose in pieno mettiamoci a lavorare insieme per capirle. Gli indizi che ci fosse qualcosa di simile a questo virus o il virus stesso ben prima" dell'inizio ufficiale di tutto, "ci sono già e sono molti. L'esito di questo studio è inaspettato fino a un certo punto. E' la dimostrazione di un sospetto che c'era prima. E sarebbe bello che chiunque abbia nella sua banca dati campioni biologici, come prelievi di sangue con queste caratteristiche, li mettesse a disposizione della scienza per ulteriori verifiche. Solo così si arriverà alla verità. Ora siamo a metà strada".