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Nuovo studio sulla carne: "Mangiata con moderazione non accorcia la vita"

Bistecca con osso (FOTOGRAMMA) - (FOTOGRAMMA)
Bistecca con osso (FOTOGRAMMA) - (FOTOGRAMMA)
30 gennaio 2016 | 16.33
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A tavola la moderazione è amica della salute, anche quando si tratta di carne. Il consumo limitato di questo alimento non riduce l’aspettativa di vita, secondo uno studio condotto dall’università di Oxford che ha confrontato i dati di mortalità totale e le singole cause di due grandi studi prospettici di popolazione: l’Oxford Vegetarian Study (OVS) e l'EPIC-Oxford (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition-Oxford).

L’analisi ha riguardato le abitudini alimentari e lo stato di salute di 60.310 adulti, tra vegetariani, vegani e consumatori di carne del Regno Unito negli ultimi 30 anni, valutando il rischio di malattie.

In particolare, dallo studio emerge che non ci sono significative differenze di mortalità tra i diversi gruppi di dieta esaminati: i vegani e vegetariani inglesi non hanno una vita più lunga rispetto a chi mangia poca carne.

Per quanto riguarda le cause di morte, quelle per cancro pancreatico e per malattie respiratorie nelle persone che consumavano carne con moderazione sono risultate del 30-45% inferiori rispetto a quanto rilevato fra chi ne consumava 5 volte alla settimana.

Anche se, rispetto a quest’ultimo gruppo, la mortalità per cancro pancreatico e tumori del sistema linfopoietico risulta dimezzata per vegetariani e vegani.

Mentre la mortalità per tutti i tumori è risultata inferiore del 10% circa in chi non consuma alimenti di origine animale rispetto agli altri gruppi.

Analizzando separatamente vegetariani e vegani, invece, non è emersa alcuna differenza statisticamente significativa nella mortalità per le prime 6 maggiori cause di morte tra vegani e consumatori abituali di carne. I dati sono risultati sovrapponibili sia dopo gli aggiustamenti statistici su peso (Bmi), genere, abitudine al fumo, sia confrontando la mortalità prima dei 75 anni e a 90 anni. Va precisato, però, che gli studi si riferiscono alle popolazioni britanniche e statunitensi, dove le abitudini alimentari sono diverse da quelle degli italiani: il consumo di carne in questi Paesi è mediamente superiore al nostro.

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