"Monroe è la dea dell'amore americana del XX secolo", dice il regista. Che dirige Ana de Armas in concorso al Lido e dal 28 settembre su Netflix
(Adnkronos/Cinematografo.it) - “Stavamo inseguendo il suo fantasma... La sua polvere è ovunque a Los Angeles. Abbiamo girato nella sua casa, abbiamo percepito il lutto, e quando mi sono coricato sul suo letto ho inteso una disperazione assoluta". Parola del regista Andrew Dominik, che porta in Concorso a Venezia 79 e dal 28 settembre su Netflix Blonde, l’atteso biopic di Marilyn Monroe. A incarnarla la cubana Ana de Armas, protagonista di una metamorfosi, evidentemente, non solo fisica: “Credo davvero che Marilyn ci fosse molto vicina, era con noi... Era tutto ciò a cui pensavo, era tutto ciò che sognavo, era tutto ciò di cui potevo parlare. Era con me ed è stato bellissimo. Penso che fosse felice”.
Basato sull'omonimo romanzo (2000) di Joyce Carol Oates, che Dominik non ha però mai incontrato, Blonde ha avuto una lunghissima gestazione e poi un iter complicato, con le riprese iniziate il 4 agosto del 2019. Dominik definisce libro e film “una fantasia di salvataggio”, sottolinea come “le donne provino sorellanza per la Monroe”, a suo avviso “la dea dell’amore americana del XX secolo”. Sullo schermo, reimmaginata, la vita di Marilyn/Norma Jeane, focalizzando la divaricazione tra pubblico e privato dell’icona hollywoodiana, indagata tra film, quali A qualcuno piace caldo, familiari, ovvero la madre problematica (Julianne Nicholson) e il padre assente, e relazioni di coppia, con Joe DiMaggio (Bobby Cannavale), Arthur Miller (Adrien Brody) e John Kennedy, cui la diva pratica sesso orale mentre il presidente statunitense è al telefono: “Dovevo comprendere, empatizzare e connettermi – osserva De Armas - con il suo dolore e il suo trauma... Sapevo che dovevo aprirmi e andare in posti che sapevo sarebbero stati scomodi, oscuri e vulnerabili. È lì che ho trovato il legame con Marilyn”.
“Il MeToo l’avrebbe aiutata, ma non c’era”, aggiunge Dominik, che traccia l’identikit dell’icona: “Bella, famosa, con un lavoro ottimo e i partner più cool: tutto quello che si vorrebbe essere, ma anche vulnerabile” e si pronuncia sulla sua fine: “Un incidente, un’overdose, che è una forma di suicidio, io non credo all’omicidio. Essere un oggetto del desiderio può rivelarsi pericoloso, tanti ne sono stati distrutti. Perché la tua fama sta nella fantasia, nell’inconscio delle persone”.
Marilyn, prosegue il regista è “la donna che mi porto dentro” e Blonde, che negli Usa uscirà anche in sala avietato ai minori di diciassette anni, “una fiction dal suo punto di vista: non si cura degli altri personaggi, la relazione è tra Marilyn e lo spettatore”.
Venendo alla fattura del film, che alterna colore e bianco e nero, precisa: “Si parte dalla ricreazione esatta di immagini e film con lei che esistono, dunque bianco e nero colore dipende dall’abbrivio”. Poi, loda Brad Pitt, qui solo produttore ma in passato anche interprete per Dominik, per esempio ne L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford, presentato a Venezia nel 2007 e valso a Pitt la Coppa Volpi: “E’ il migliore amico che un regista possa avere, la ragione ultima per cui Blonde esiste. Brad ha messo più qui che nei miei film in cui recita”.
Scelta da Dominik in sostituzione di Naomi Watts dopo averla vista in Knock Knock (2015) di Eli Roth: “Al provino è stato un po' come un amore a prima vista: il film ha preso vita quando l'abbiamo trovata. Ci assomiglia molto: naso, occhi, sorriso", De Armas conclude: “Non ho fatto Blonde perché altre persone cambiassero le loro opinioni su di me. Qualunque cosa accada, è l'esperienza che porto con me. Questo film ha cambiato la mia vita, ora sarà quello che sarà".