Nona Mikhelidze (Iai): "E' quello che vuole Putin ma significherebbero guerra posticipata. Nell'establishment russo c'è consapevolezza che questa guerra non si può vincere".
Sei mesi di guerra in Ucraina, dopo l'avvio dell'"operazione militare speciale" annunciata il 24 febbraio scorso da Vladimir Putin. Una ripresa a breve dei negoziati è quello che oggi "vorrebbe la Russia, ma è quello su cui l'Ucraina non può assolutamente cascare, perché in questo momento non sarebbero negoziati, ma una trappola", una "guerra posticipata". Nona Mikhelidze, responsabile di ricerca dello Iai, risponde alle domande dell'Adnkronos, dipinge un quadro della situazione sul campo, ma anche all'interno dell'establishment russo - dove "ormai è matura la consapevolezza che questa guerra non si può vincere" - e spiega quali sarebbero quindi le intenzioni del Cremlino.
Nei mesi scorsi in "tanti" non credevano "nella resistenza militare e soprattutto civica in Ucraina", mentre oggi "è difficile immaginare uno scenario in cui la Russia riesca a vincere militarmente questa guerra", un quadro che "non si traduce automaticamente in vittoria per l'Ucraina". Perché, precisa, "non so dire con esattezza se realmente esista il problema della quantità di armi" fornite dall'Occidente (Kiev insiste per maggiore assistenza) o se "l'Occidente stia mandando deliberatamente quella quantità di armi all'Ucraina che le consente di resistere, di fermare l'avanzata dei russi". Detto più chiaramente Mikhelidze non è "sicura che l'Occidente stia fornendo abbastanza armi con cui gli ucraini possono fare il salto di qualità", andare "realmente verso la de-occupazione".
E, aggiunge, "penso che nell'establishment russo ormai è matura la consapevolezza che questa guerra non si può vincere e queste visite avanti e indietro di Recep Tayyip Erdogan denotano prorio questo". Nei giorni scorsi il leader turco è volato in Turchia per tentare di aprire le porte al negoziato. "Questa richiesta è arrivata direttamente da Putin - dice - perché adesso, avendo raggiunto il limite delle capacità militari e operative, in realtà ha bisogno di fermarsi, di rafforzarsi, di 'riorganizzare' le forze e di liberarsi dalle sanzioni".
Il presidente russo, rimarca, vorrebbe passare al tavolo dei negoziati per arrivare a "una sorta di 'Minsk 3', in cui si parla di cessate fuoco ma non di ritiro delle truppe della Russia o si parla di ritiro sul lungo termine". Un po' come, sintetizza, "nel 'Minsk 2' (del 2015), quando praticamente hanno costretto Petro Poroshenko (presidente dell'Ucraina fino al 2019) a firmare quell'accordo e poi la Russia non si è mai ritirata dalla regione del Donbass".
Il "piano sarebbe uguale", ovvero "fermare la guerra in questo momento, congelare la situazione attuale", con la Russia che "manterrebbe Kherson", evitando un ritiro che "sarebbe una sconfitta seria" per il Cremlino - anche "difficile da vendere a livello interno" - in quell'area occupata a inizio marzo in cui la Russia "non ha mai abbandonato l'idea" di un referendum "per dichiarare o una 'repubblica popolare di Kherson'", ripetendo lo scenario di Donetsk e Luhansk, o chiedendo "direttamente l'integrazione di Kherson alla Crimea" e così "dentro la Federazione Russa". Tutto nonostante, evidenzia Mikhelidze, "a Kherson nessuno voglia un governo russo ed esiste un movimento di partigiani molto forte". E Putin, prosegue, "per evitare" il nodo Kherson "adesso vorrebbe i negoziati". Congelare la situazione. "Pensa - osserva - che assicurando il cessate il fuoco questo a sua volta incentivi gli occidentali a rimuovere le sanzioni" e così ci sarebbe "un po' di respiro" per l'economia russa, mentre Putin "prenderebbe tempo per prepararsi per il rinnovo della guerra". Per questo, secondo l'esperta, "in questo momento negoziati e accordo su un cessate il fuoco non sarebbero altro che una guerra posticipata".
E l'Ucraina è in una posizione ben diversa dall'epoca del 'Minsk 2', perché "Poroshenko non aveva le forze per combattere e quindi era stato costretto a firmare quell'accordo che era molto sfavorevole per gli ucraini". Mentre Zelensky, forte anche del sostegno della popolazione, non accetterà "mai i negoziati se non con l'unica condizione che i militari russi lascino il territorio ucraino" con il "ritorno allo status quo del 22 febbraio".
Intanto la guerra è in una "fase 'transitoria'", osserva, spiegando come "i russi per completare solo la conquista del Donbass devono prendere ancora il 45% della regione di Donetsk", mentre "l'ultima scadenza che si erano dati era quella del primo luglio". E "la controffensiva ucraina" - che "in tanti si aspettavano in stile russo", ovvero "una guerra frontale" - è nei fatti una "strategia completamente diversa" da quello che si era ipotizzato di "combattivo" e "diretto" - prosegue - perché "gli ucraini hanno scelto di indebolire prima le forze armate russe", di "complicare loro la logistica".
Mikhelidze parla dei "ponti bombardati", del ponte Antonivsky di Kherson danneggiato (e a cui, secondo l'ultimo aggiornamento d'intelligence del ministero della Difesa di Londra, i russi vorrebbero 'affiancare' un ponte galleggiante per assicurare un "collegamento chiave" tra Kherson e l'est), delle "esplosioni di depositi di armi dei russi", anche delle recenti esplosioni in una base russa in Crimea (annessa da Putin nel 2014), dello shock dei turisti russi in quella che era considerata una spiaggia sicura, dell'"impatto psicologico molto forte anche per la popolazione in Russia" perché "passati sei mesi la guerra continua e non solo non si arriva alla vittoria, ma viene minacciata la Crimea". Ma, conclude, "il diritto internazionale è dalla parte dell'Ucraina" e "non c'è nessun problema per l'Ucraina per includere anche la Crimea nei suoi piani di de-occupazione".