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Gabriele Lavia: "Il teatro non morirà mai, il cinema forse sì"

L'attore anche regista per 'Un curioso accidente' di Carlo Goldoni al teatro Argentina di Roma, affiancato da Federica Di Martino - "Pasolini voleva che recitassi gratis per lui ma non ero ricco di famiglia..." - "Gli artisti possono fare ben poco contro le guerre" - "Violenza sulle donne? Gli uomini non stanno al passo coi tempi e impongono la forza"

Gabriele Lavia in
Gabriele Lavia in "Un curioso accidente" di Carlo Goldoni al teatro Argentina di Roma
02 novembre 2023 | 17.11
LETTURA: 5 minuti

"Dopo tanto parlare a sproposito di morte del teatro, siamo arrivati oggi a prefigurare il funerale del cinema. Ma la differenza è netta: il teatro è 'logos', il cinema è 'techne' e questo dice tutto". E' la premessa di Gabriele Lavia - impegnato in questi giorni come regista e attore protagonista in 'Un curioso accidente' di Carlo Goldoni al teatro Argentina di Roma - intervistato dalla AdnKronos dopo l'appello sui social postato da Carlo Verdone in relazione alla chiusura di tanti teatri, nel caso specifico a Roma.

In generale, al di là dei casi specifici dettati dalle cronache cittadine, Lavia esorta a "non preoccuparsi e non meravigliarsi, perché il teatro resterà in eterno, mentre il cinema un giorno potrà scomparire: come la pietra è stata sostituita dall'arco con la freccia, questo dalla balestra, questa dall'archibugio con baionetta, fino alla bomba atomica". Ecco allora che "la 'techne' ha un destino: essere sempre superata da una nuova 'techne' e ciò vale anche per il cinema, pur se sinceramente mi dispiace. Il teatro no, il teatro è 'logos' e la parola non potrà mai essere superata, con la sua trasformazione catartica è e sarà sempre insuperabile e quindi immortale".

Quanto alla sua ultima proposta artistica, "non ho mai rappresentato commedie famose di Goldoni per due ragioni. La prima è molto semplice: 'non me le hanno fatte fare... E' il caso della 'Bottega del Caffé' che invece avrei amato interpretare. La seconda è più profonda o se si preferisce più complessa: mi piace fare opere minori che poi in realtà non lo sono; non a caso credo che la prima che ho recitato del commediografo veneziano, 'Il vero amico', sia stato il mio più grande successo teatrale", spiega Gabriele Lavia.

"Goldoni per il teatro è come Mozart per la musica - spiega Lavia - E le sue commedie sono tutte apparentemente a lieto fine, ma è un finale felice che al contrario sottolinea una disfatta, soprattutto maschile visto che in Goldoni prevale un aspetto illuminista: Voltaire di cui era amico lo definiva il primo illuminista della Storia". Quanto agli amori letterari, "il mio amante segreto è Cechov - confessa Gabriele Lavia - Poi, amo gli autori classici greci e amo Goldoni, Shakespeare, Moliere e poi come potrei da siciliano non amare Pirandello? Ho dei libri di mia nonna con le dediche di Luigi Pirandello: tra le mie cose più preziose...".

Lavia ricorda poi un episodio giovanile, nell'anniversario della tragica morte di Pier Paolo Pasolini, nella notte fra 1 e 2 novembre del 1975. "Pasolini l'ho conosciuto personalmente, ma in maniera fuggevole: lui mi aveva cercato per fare teatro sperimentale, ma non poteva darmi nemmeno un soldo, si rivolgeva a un gruppo di amici ma io gli risposti 'Maestro, io sono un suo grande ammiratore ma non posso permettermi di campare con questo mestiere lavorando gratuitamente, purtroppo non sono ricco di famiglia'...", racconta.

Racconta ancora Lavia, impegnato in questi giorni come regista e attore protagonista in 'Un curioso accidente' di Carlo Goldoni al teatro Argentina di Roma: "Giorgio Bassani, che insegnava alla nostra Accademia, ci presentò Pasolini descrivendolo come 'un grande poeta e un grande amico' e io ripeto sempre ai miei attori una frase di Pasolini: 'ricordatevi che è meglio far battere il cuore che far battere le mani, quindi non esagerate', una frase meravigliosa!".

'Un curioso accidente' di Carlo Goldoni al teatro Argentina di Roma, è una commedia che ha sullo sfondo una guerra, quella di fine Settecento tra due colazioni guidate rispettivamente dagli inglesi e dai francesi, che comportò fra l'altro la perdita del Canada e il dissolversi della presenza colonialista della Francia a vantaggio dell'Inghilterra e dell'Olanda che sulle guerre guadagnava immense ricchezze, come sul commercio di schiavi fra l'Africa e la nuova America.

"Il teatro, l'artista, l'uomo di spettacolo, possono fare ben poco davanti alla tragedia delle guerre: niente potevano in passato come niente o quasi nei conflitti attuali, tranne piccoli brandelli di momentanea riflessione", è l'opinione di Gabriele Lavia. "L'unica cosa che un attore può fare è 'dire la parola' - riprende Lavia - Il teatro è 'parola' e l'attore può pronunciare parole come 'guerra', come 'morte', con tutto il peso che queste parole portano con sé. Questa può essere l'unica, peraltro grande, funzione dell'attore e del teatro".

Poi - prosegue - "per sua stessa natura, il teatro è politica, è società, è polis, è agorà... non può astrarsi dalla realtà e i grandi protagonisti delle tragedie greche sono coloro che non sono riusciti a dire la 'parola'. Edipo non è in grado di nominare la parola 'madre', Egisto la parola 'fratello', Clitennestra la parola 'marito'. Il teatro è parola e la tragedia avviene quando questa parola resta sospesa. Oggi, la tv sostituisce il 'nunzio dalla reggia', la stampa il 'messaggero degli dei', e la parola 'guerra' ahimè viene fin troppo pronunciata".

Altro tema presente nel 'Curioso accidente' e più in generale nel teatro di Goldoni è il ruolo della donna. "Gli uomini non riescono mai a stare al passo con i tempi. E il maschio, più forte della donna, non riuscendo a imporsi con l'intelligenza si impone con la forza e la forza richiama la violenza. Ma, in realtà, è il segno e l'ammissione di una profonda debolezza", sottolinea Gabriele Lavia.

"Questo atteggiamento resta valido, al di là di tutte le fedi religiose, le convinzioni filosofiche e morali, le posizioni culturali e spirituali, di ogni parte del mondo", osserva Lavia. "Anche in questa commedia Goldoni, da autentico illuminista, è portato a rivalutare il ruolo delle donne, spesso descritte come più furbe e intelligenti degli uomini. Del resto, anche mia madre lo era rispetto a mio padre e mia moglie lo è rispetto a me...".

(di Enzo Bonaiuto)

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