Dalla Men’s League for Woman Suffrage a Nelson Mandela: quando la lotta per la parità di genere non ha un solo colore
“Alzate le gonne, ragazze!”. È il 16 maggio 1911 e questa non è l’ennesima offesa alle donne, ma uno scherno rivolto agli uomini che accanto alle donne combattono, convinti che anche loro debbano votare e godere degli stessi diritti.
Quel giorno la storia conosce una delle pagine più belle della convivenza uomo-donna: la parata della Men’s League for Woman Suffrage (Lega degli Uomini per il Suffragio Femminile) a supporto delle suffragette americane.
10.000 spettatori si riversano nella Fifth Avenue per assistere alla seconda parata annuale del New York Suffrage Day. Tra i 3.000 e 5.000 manifestanti marciarono dalla 57esima Strada a un enorme raduno a Union Square. Protagoniste, ovviamente, le donne che alzano cartelli con slogan come “un voto per il suffragio è un voto per la giustizia” e “ti fidi di noi con i bambini, fidati di noi con il voto”.
Tra loro un singolo gruppo di 89 uomini (secondo le testimonianze) che marciano in file di quattro seguendo i passi delle donne e sotto la bandiera della Men’s League for Woman Suffrage. Tra gli slogan, uno molto chiaro: “La sottoveste non fa più le suffragette. Siamo suffragette, suffragette con i pantaloni”.
La Men’s League for Woman Suffrage è stata un’organizzazione americana fondata all’inizio del XX secolo con l’obiettivo di sostenere il movimento per il suffragio femminile. Ispirata alla sua controparte britannica, la Men’s League for Women’s Suffrage inglese, l’organizzazione americana vide la luce grazie agli sforzi di figure di spicco come Oswald Garrison Villard, Anna Howard Shaw, Max Eastman, Stephen S. Wise e James Lees Laidlaw.
Furono in particolare le discussioni tra Oswald Garrison Villard, editore del New York Evening Post, e Anna Howard Shaw, presidente della National American Woman Suffrage Association (Nawsa) a far nascere questo movimento. Villard, infatti, era scettico nel guidare un’organizzazione del genere, ma la conversazione con Shaw stimolò in lui l’interesse per la creazione di una lega maschile a sostegno del suffragio femminile. Max Eastman, cresciuto in una famiglia suffragista, accettò di organizzare la Men’s League for Woman Suffrage all’inizio del 1909. Per una volta i ruoli di spicco riconosciuti agli uomini servivano a combattere la discriminazione di genere, non ad aggravarla.
James Lees Laidlaw, un banchiere di spicco e marito della suffragista Harriet Burton Laidlaw, assunse la presidenza della lega. I membri della lega marciavano spesso alla fine delle parate suffragiste, simboleggiando il loro supporto alla causa. Laidlaw è l’unico uomo elencato sulla targa della League of Women Voters che commemora i leader statali del movimento suffragista, installata nel Capitol Building di New York a Albany.
Oltre a partecipare alle parate con annesse offese e tentativi di scherno da parte degli altri uomini, la Men’s League for Woman Suffrage si dedicò a organizzare raccolte fondi per sostenere la battaglia delle donne, tenere discorsi pubblici per sensibilizzare sul diritto di voto delle donne, e fare pressing (o, più precisamente, lobbying) presso i funzionari governativi.
La lega creò una rete nazionale di uomini influenti che supportavano il movimento suffragista, tra cui personalità come il socialista Max Eastman, lo storico Charles Beard e il già citato finanziere James Lees Laidlaw.
La Men’s League for Woman Suffrage degli Uomini per il Suffragio Femminile fu particolarmente attiva nel reclutare membri attraverso conferenze e incontri, spesso tenuti in contesti universitari, e lavorò a stretto contatto con la National American Woman Suffrage Association.
Non ci sono informazioni su quanti fossero i membri della lega al momento della fondazione, ma c’è un dato certo ed emblematico: entro il 1912, in appena 3 anni di attività, l’organizzazione contava circa 20.000 membri in tutto il Paese.
La Men’s League for Woman Suffrage giocò un ruolo cruciale nel movimento per il suffragio femminile, dimostrando che il sostegno alla causa non era un interesse esclusivo delle donne. La partecipazione attiva degli uomini, sia in termini di sostegno morale che di azione diretta, contribuì a cambiare l’opinione pubblica e a promuovere l’approvazione del 19° emendamento, che garantì alle donne americane il diritto di voto negli Stati Uniti nel 1920.
[In foto: uno degli stemmi utilizzati dalla Men’s League for Woman Suffrage]
Negli Stati Uniti molti dei sostenitori più forti delle suffragiste erano proprio i loro mariti, padri, fratelli, zii e altri uomini che, influenzati dai valori democratici, hanno supportato costantemente la causa delle donne. Più di 50 campagne elettorali videro una grande partecipazione maschile, spesso oltre il 40%, votare a favore del suffragio femminile. In stati come New York e California, la maggioranza degli elettori maschi appoggiò il suffragio femminile. Nel 1920, dopo l’approvazione da parte del Congresso a maggioranza maschile e di 36 legislature statali, il 19° emendamento fu ratificato e celebrato come una vittoria condivisa.
Una lezione per i giorni nostri, in cui si cerca di risolvere i problemi polarizzando le differenze, di qualsiasi tipo esse siano, incluse quelle di genere.
Il movimento degli uomini a sostegno delle donne, anche detti i “suffragetti” ha interessato molti Paesi, in maniera più o meno organizzata. Nel Regno Unito, uomini come i membri della famiglia Pankhurst hanno sostenuto il movimento delle suffragette.
Emmeline Pankhurst, fondatrice della Women’s Social and Political Union, aveva marito e figli che partecipavano attivamente alla lotta per il suffragio femminile. In Francia, nonostante il riconoscimento del diritto di voto alle donne sia avvenuto solo nel 1945, vi furono uomini che supportarono la causa femminista durante la Rivoluzione francese e anche quando questa si era conclusa.
In Svizzera, nonostante la resistenza iniziale, negli anni ‘60 le proposte di legge per il suffragio femminile superarono il voto maschile in nove cantoni, grazie anche al supporto di uomini che riconoscevano l’importanza di estendere i diritti democratici alle donne.
In Italia, la lotta per i diritti delle donne ha visto momenti significativi nel corso del XX secolo, con il suffragio femminile ottenuto nel 1945 e l’attivismo femminista che ha preso piede negli anni ‘60 e ‘70, portando a importanti riforme legislative a favore delle donne.
Non c’è prova di organizzazione analoghe al Men’s League for Woman Suffrage in Italia ma nel contesto più ampio del movimento femminista e della lotta per i diritti delle donne, uomini progressisti, intellettuali, politici e attivisti hanno spesso espresso il loro sostegno alle cause femminili. Questo supporto si è manifestato in diversi modi, dall’advocacy politica e legislativa, alla partecipazione a manifestazioni e campagne di sensibilizzazione, fino al sostegno intellettuale e culturale attraverso le arti e la letteratura.
Molti uomini hanno usato la penna come arma per sostenere i diritti delle donne. Frederick Douglass, ad esempio, ha sostenuto la Declaration of Sentiments (“Dichiarazione dei Sentimenti”) presentata da Elizabeth Cady Stanton durante la Convenzione dei Diritti delle Donne a Seneca Falls nel 1848, una delle prime convenzioni dei diritti delle donne negli Usa.
La dichiarazione di Stanton è ritenuta un passaggio chiave nel movimento per i diritti delle donne negli Stati Uniti. Per molti la Declaration of Sentiments è stata il punto di partenza del movimento femminista.
Altri, come il noto abolizionista William Lloyd Garrison, hanno scritto a favore del movimento, contribuendo a diffondere le idee femministe e a sensibilizzare l’opinione pubblica.
Garrison aveva sostenuto la parità dei diritti per le donne nel suo giornale “The Liberator” e partecipò alla Convenzione di Seneca Falls del 1848. Tuttavia, il suo coinvolgimento non fu privo di critiche. Mentre alcuni sottolineavano il suo supporto ai movimenti femministi, altri ritenevano che il suo atteggiamento paternalistico potesse mettere in ombra il contributo delle donne. Altri misero addirittura in dubbio il suo reale interesse verso i diritti delle donne, sostenendo che avesse tralasciato la lotta per la parità di genere per concentrare le sue forze sull’abolizione della schiavitù.
La storia dell’umanità ha visto anche altri uomini spendersi per la parità dei diritti, quando questa sembrava, agli occhi della società, una pretesa assurda e priva di fondamento.
Impossibile dimenticare Nelson Mandela: “Le donne sono i veri custodi della pace e della stabilità del mondo”, ma anche Kofi Annan, che ha sottolineato: “L’empowerment delle donne è la chiave per il progresso e la giustizia sociale”, facendo eco alle parole di Gandhi: “Le donne sono la forza motrice della società e la loro partecipazione è cruciale per il benessere di tutti”.
L’impegno di donne e uomini per abbattere le discriminazioni di genere ha avuto i suoi risultati nel corso della storia. Diversi studi mostrano che oggi il gender gap si è attenuato rispetto ai decenni e secoli precedenti, ma anche che c’è ancora molta strada da fare.
Il World Bank Report ha evidenziato che nessun Paese al mondo ha raggiunto la parità di genere, con le donne che vengono discriminate negli ambiti più disparati: al lavoro, dove il gender gap salariale segna ancora un solco profondo tra uomini e donne, in famiglia sotto forma di violenza fisiche e verbali e tramite una distribuzione dei compiti domestici squilibrata e anche sotto il profilo dell’imprenditoria e degli appalti pubblici.
Molti sono gli sforzi da fare, ma è anche necessario cambiare l’approccio: occorre smontare la logica che vede uomini e donne in un eterno conflitto. Uomini e donne devono lottare insieme, vivere insieme e aiutarsi a vicenda, parafrasando quanto detto all’Adnkronos da Elisa Di Francisca.
I singoli uomini e i 20.000 membri della Men’s League for Woman Suffrage hanno la forza per diventare l’emblema di una nuova, congiunta, fase nella lotta alla discriminazione di genere senza farsi scoraggiare dalle ingiustizie ancora presenti, ma caricandoci sulle spalle la responsabilità e la giustizia del cambiamento. Perché, insegna Paola Cortellesi, "C'è ancora domani".