La bioeconomia, intesa come sistema che utilizza le risorse biologiche terrestri e marine, così come gli scarti, per la produzione di beni e di energia, in Italia nel 2018 ha generato un output pari a circa 345 miliardi di euro, occupando oltre due milioni di persone (includendo sia la gestione e il recupero dei rifiuti biocompatibili sia il ciclo dell’acqua). Lo rileva il sesto rapporto sulla Bioeconomia in Europa, realizzato grazie alla collaborazione fra Assobiotec, Intesa Sanpaolo e Cluster Spring.
Il valore della produzione della bioeconomia nel 2018, rileva lo studio, è cresciuto di oltre 7 miliardi rispetto al 2017 (+2,2%), grazie al contributo positivo della maggioranza dei settori considerati e in particolare dei comparti legati alla filiera agro-alimentare.
Nel confronto europeo, l'Italia si posiziona al terzo posto in termini assoluti per valore della produzione, dopo Germania (414 miliardi) e Francia (359 miliardi), e prima di Spagna (237 miliardi), Regno Unito (223 miliardi) e Polonia (133 miliardi). Anche per quanto riguarda il numero di occupati nella bioeconomia l’Italia si posiziona terza nel ranking, con poco più di 2 milioni di occupati, dopo la Polonia, che occupa 2,5 milioni addetti (soprattutto nel settore agricolo) e la Germania (2,1 milioni di occupati).
Crescono le start up innovative della bioeconomia. In forte sviluppo negli ultimi anni, anche le start-up innovative operative nell’ambito della bioeconomia: l’aggiornamento al febbraio 2020 delle stime basate sul Registro delle Start-Up Innovative attribuisce alla bioeconomia una quota dell’8,7%, pari a 941 dei soggetti innovativi iscritti, con una continua crescita che culmina con una quota vicina al 17% nei primi due mesi del 2020. La maggior parte delle start-up della bioeconomia è attiva nella R&S e nella consulenza, comparto che, da solo, rappresenta oltre il 50% del complesso dei settori, con ben 496 start-up innovative. Segue il settore dell’alimentare e bevande con 119 soggetti e il mondo dell’agricoltura (con 81 start-up innovative pari all’8,6%), confermando la centralità della filiera agri-food nel mondo della bioeconomia.
Filiera agro-alimentare, uno dei pilastri della bioeconomia. La filiera agro-alimentare italiana, altamente integrata nel contesto europeo e con una crescente proiezione internazionale, conserva una forte base domestica, con ben 6 regioni su 15 nel ranking del valore aggiunto europeo del settore agricolo. La filiera agro-alimentare è uno dei pilastri della bioeconomia, generandone oltre la metà del valore della produzione e dell’occupazione e svolgendo, oltre alla funzione primaria della nutrizione e della salvaguardia della salute, un ruolo fondamentale per la protezione della biodiversità, la cura del territorio e la trasmissione dell’identità culturale.
Piccolo e di qualità, il valore aggiunto del nostro sistema agro-alimentare. La ricchezza e la varietà della produzione agro-alimentare italiana è infatti espressione delle diverse specificità territoriali e tradizioni locali. Nell’agricoltura, silvicoltura e pesca, tra le prime quindici regioni europee per valore aggiunto ben 6 sono italiane: Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Sicilia, Puglia e Campania (contro 3 regioni spagnole, quattro francesi, una olandese ed una tedesca). In Italia il sistema agro-alimentare, con un peso sul totale europeo del 12% in termini di valore aggiunto e del 9% in termini di occupazione, si posiziona ai primi posti in Europa. La filiera presenta alcune specificità che la rendono un esempio importante nel panorama europeo. Il settore agricolo italiano presenta una elevata frammentazione del tessuto produttivo (la dimensione media per azienda agricola è di circa 11 ettari in Italia, contro gli oltre 60 di Francia e Germania) ed una minor superficie agricola utilizzata (12,6 milioni di ettari di Sau in Italia, mentre Francia e Spagna hanno a disposizione per l’utilizzo agricolo superfici estese circa il doppio). Il nostro sistema agricolo è basato su un’elevata varietà delle produzioni (nella maggior parte dei paesi europei oltre la metà della superficie agricola totale è invece destinata ai seminativi, mentre in Italia questa percentuale supera di poco il 40%), che esprimono un maggiore valore aggiunto (come dimostra la rilevanza della coltura della vite).
Le imprese investono in innovazione e sostenibilità. Nonostante la ridotta dimensione, le imprese italiane presentano nel 2017, secondo le stime su dati Eurostat, una spesa per R&S pari all’1% circa del valore aggiunto, in aumento rispetto allo 0,6% del 2020. Questo dato colloca l’Italia sopra la Francia e la Germania e sotto i Paesi Bassi. Secondo i dati dell’ultima inchiesta comunitaria sull’innovazione l’Italia si colloca in seconda posizione tra i grandi player europei anche per quanto riguarda la percentuale di imprese dell’alimentare e bevande che hanno introdotto innovazioni di prodotto e di processo (49,2%). L’Italia dell’agrifood, inoltre, si caratterizza per una maggiore biodiversità (garantita dall’elevata quota di superficie dedicata a bosco) e per una elevata quota di terreni dedicati all’agricoltura biologica.
Primi in Europa per produzioni Dop e Igp e leader nel biologico. L’Italia è il primo Paese in Europa per numero di produzioni Dop/Igp, sia sul lato Food (che comprende anche le tipicità agricole) sia su quello dell’industria delle bevande, con un totale complessivo di 862 prodotti. Inoltre, l’Italia è tra i leader europei con quasi 2 milioni di ettari di terreni già convertiti o in corso di conversione al biologico, un’estensione di poco inferiore a Francia e Spagna ma in percentuale molto maggiore sulla superficie agricola utilizzata (15,2%). Spiccano, in questo senso, alcune regioni del Mezzogiorno che primeggiano nell’ambito delle superfici coltivate con metodo biologico: le regioni più “bio” d’Italia sono Sicilia, Calabria e Puglia, che detengono il 47% dei terreni e il 53% delle aziende convertite al biologico. La certificazione biologica ha consentito alle imprese di ottenere migliori risultati sia in termini di crescita del fatturato che di redditività: l’analisi basata su un campione di oltre 9.300 imprese dell’agro-alimentare italiano, evidenzia come le imprese con certificazioni biologiche abbiano registrato una crescita del fatturato del 46% tra il 2008 ed il 2018, quasi doppia rispetto al +25% delle imprese senza certificazioni.