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Rifiuti: solo 1/3 di quelli elettronici viene riciclato correttamente in Ue

Rifiuti: solo 1/3 di quelli elettronici viene riciclato correttamente in Ue
11 giugno 2019 | 11.17
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Ogni anno in Europa si generano circa 9 milioni di tonnellate di Rifiuti Elettronici. Di queste solo un terzo, circa 3 milioni di tonnellate, vengono trattate nel pieno rispetto della legge. Il resto viene smaltito in modo non sicuro dal punto di vista ambientale, o finisce per gonfiare discariche abusive sparse per tutto il Pianeta. Questo è stato uno dei temi affrontati durante il convegno internazionale “Raee: sei nazioni a confronto”, che si è svolto a Roma, alla presenza di Christian Brabant di Ese, Mark Burrows-Smith di Repic, Andreu Vilà di Ecotic, Pedro Nazareth di Electrao, Jan Vlak di Wecycle e Giorgio Arienti di Ecodom, i principali Sistemi Collettivi a livello Europeo. (Video)

È la Francia il Paese del sestetto che, nel triennio 2015-2017, ha immesso più Apparecchiature elettriche ed elettroniche (Aee) nel proprio mercato con un quantitativo medio corrispondente a 1.487.418 tonnellate all’anno. In seconda posizione si piazza il Regno Unito con 1.391.642 tonnellate, seguito da Italia (848.011 t), Spagna (551.947 t), Olanda (333.785 t) e Portogallo (141.987 t).

La Francia è la prima nazione anche nel ritiro dei Raee domestici, con un quantitativo che, nel 2018, è stato di 728.569 tonnellate. Anche in questa classifica, il Regno Unito è secondo con 493.323 t, seguito da Italia (310.610 t), Spagna (268.003), Olanda (167.235) e Portogallo (67.692), che però conteggia nella cifra fornita sia i RAEE domestici che quelli professionali.

Il nostro Paese occupa però l’ultimo posto per quanto riguarda la raccolta pro-capite (cioè i kg di Raee raccolti ogni anno per ciascun abitante): solo 5,1 kg/abitante di Raee, meno della metà della Francia (10,8 kg/abitante). Sul podio anche i Paesi Bassi con 9,7 kg/abitante e il Regno Unito con 7,4 kg/abitante; seguono il Portogallo con 6,6 kg/abitante e la Spagna con 5,8 kg/abitante.

Promossi e bocciati. Il sistema Raee italiano è considerato una 'best practice' dalla Comunità Europea dal punto di vista organizzativo (per l’esistenza di un 'modello multi-consortile regolato', con più Sistemi Collettivi operanti in concorrenza tra loro sotto il controllo del Centro di Coordinamento Raee), ma il Bel paese registra ancora un gap importante tra i risultati di raccolta e gli obiettivi fissati dalla direttiva europea sui Raee.

Analizzando i dati del 2018, tra i sei Paesi partecipanti all’incontro organizzato da Ecodom, quattro hanno superato il target di raccolta del 45% fissato fino all’anno scorso dall’Unione Europea. Il tasso di ritorno (ovvero il rapporto tra Raee gestiti e media delle AEE immesse sul mercato nei tre anni precedenti) è stato del 50% in Olanda, del 49% in Francia e Spagna e del 48% in Portogallo. Non hanno raggiunto la quota minima né l’Italia, ferma al 37%, né il Regno Unito con il 35%.

In attesa di conoscere i numeri relativi al 2019, sembrerebbe improbabile per tutte e sei le nazioni riuscire a raggiungere il target minimo del 65% in vigore dall’inizio di quest’anno. Questo incontro, afferma Maurizio Bernardi, Presidente di Ecodom, "riveste particolare importanza perché in Italia è da poco iniziato il processo di recepimento delle Direttive europee sull'Economia Circolare: i rappresentanti del Parlamento e del Ministero dell'Ambiente avranno quindi la possibilità di esaminare i risultati di raccolta, i vantaggi e gli svantaggi dei diversi modelli di Extended Producers’ Responsibility.

Uno sguardo particolare è stato rivolto a quello che a oggi è il principale problema nel settore dei Raee: i 'flussi paralleli', cioè l’ingente quantità di rifiuti elettrici ed elettronici che scompare senza lasciare traccia. Nel nostro stesso mercato operano purtroppo numerosi soggetti per i quali i Raee rappresentano solo una fonte di arricchimento, da sfruttare senza riguardo del bene sociale, dell'ambiente e dell'economia. Oggi chiediamo a tutti i nostri interlocutori istituzionali, al Parlamento e al ministero dell’Ambiente, di definire insieme a noi un modello che permetta all’Italia di risolvere il più rapidamente possibile questo problema” conclude Bernardi.

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