"Non può essere un’autorità di polizia o la magistratura a sindacare il rapporto con le fonti e giudicare come un ricercatore affronta le contraddizioni, le difficoltà, gli errori, le illusioni o i buchi di memoria delle fonti orali a quaranta anni dai fatti". Così Paolo Persichetti commenta i nuovi elementi emersi nell'inchiesta romana che lo vede indagato per favoreggiamento e associazione sovversiva accusandolo di aver divulgato materiale riservato "acquisito e/o elaborato dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul sequestro e l'omicidio di Aldo Moro".
Al centro delle indagini ci sarebbe uno scambio di mail con l'ex brigatista Alvaro Loiacono, oggi cittadino svizzero, condannato all'ergastolo in contumacia per l'agguato di via Fani con l'accusa di aver intrappolato l'auto di Aldo Moro bloccando la strada insieme ad Alessio Casimirri. A Persichetti sostanzialmente viene contestato di aver omesso nel libro "Brigate rosse, dalle fabbriche alla campagna di primavera", scritto nel 2017 con Marco Clementi ed Elisa Santalena, alcuni passaggi su via Fani presenti nelle email con Loiacono da cui emergerebbero una ricostruzione dell'agguato "distonica" rispetto a quella nota e "funzioni inedite svolte da Loiacono rispetto a quelle riscontrate processualmente". Una scelta che, secondo gli investigatori, "potrebbe non essere solo di natura editoriale, ma anche 'politica'" e "ai margini di una possibile forma di favoreggiamento".
"Secondo i poliziotti - scrive Persichetti in un lungo post sul suo blog Insorgenze.net - non avremmo (il libro è opera a più mani, ma alla polizia della storia fa comodo indicarmi come autore unico) riportato correttamente le informazioni raccolte, per questo mi sarei macchiato di favoreggiamento, in particolare nei confronti di Alvaro Loiacono Baragiola. Affermazione impegnativa, che troverebbe senso solo se i poliziotti della storia avessero intercettato tutti i colloqui avuti dagli autori del libro in anni di incontri con i diversi testimoni e riscontrato difformità. Forse per questo sono venuti in casa, col pretesto della divulgazione di un inesistente documento riservato della commissione (le relazioni annuali e le bozze delle relazioni non rientrano nella documentazione riservata) per cercare appunti, schizzi, piantine, vocali e altri materiali raccolti nel corso della preparazione del primo volume e in vista del secondo".
"Chiunque abbia letto il libro conosce perfettamente il lavoro minuzioso svolto, gli elementi di novità significativi introdotti nella ricostruzione del rapimento Moro grazie a una faticosa integrazione tra fonti documentali e nuove disponibilità delle fonti orali, che non si sono tirate indietro, intenzionate a dare un contributo definitivo di chiarezza nella ricostruzione dei fatti - racconta l'ex Br, oggi ricercatore storico - Abbiamo insistito con loro affinché anche il minimo dettaglio venisse ricostruito, nei limiti delle possibilità che la memoria e i documenti potevano consentire. Abbiamo assistito al processo di rimemorizzazione in presa diretta di alcuni di loro, testimoni che hanno dovuto superare e correggere errori e illusioni stratificatesi a decenni di distanza dai fatti".
"Oggi sappiamo come sono arrivati sul posto i brigatisti quella mattina, tutte le armi che impugnavano, come hanno organizzato l’azione, collocato le macchine, la via di fuga ricostruita nel dettaglio, e molte altre cose ancora sulla vicenda politica del sequestro, aspetti che alla Polizia di prevenzione sembrano interessare ben poco - sottolinea Persichetti - Nonostante ciò, al momento di chiudere le bozze, alla fine del 2016, non siamo riusciti a chiarire un aspetto della via di fuga, per altro fino ad allora da tutti ignorato: ovvero come venne spostato un furgone di riserva, collocato nel quartiere di Valle Aurelia, che in caso di necessità sarebbe dovuto servire per un secondo trasbordo del prigioniero. La discussione e il confronto con gli altri testimoni che abbiamo potuto raggiungere è stato acceso ma purtroppo non risolutivo sul punto. Dovendo andare in stampa abbiamo così deciso di risolvere l’impasse delimitando l’informazione su due dati da noi accertati: non abbiamo mai scritto che Loiacono fosse sceso dalle scalette in fondo a via Licinio Calvo insieme a Balzerani, Bonisoli, Casimirri e Fiore. Abbiamo riportato quanto sostenuto da Moretti e confermato da tutti, che furono alcuni dei membri della Colonna romana che presero parte all’azione a spostare il furgone".
"Quello del ricercatore - conclude Persichetti - è un lavoro paziente e ostinato che non si arresta mai e negli anni successivi siamo più volte tornati sulla questione. Cosa c’entri questo lavorio storiografico con il favoreggiamento e l’associazione sovversiva, potete valutarlo da soli".