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Il punto di vista di Follini

Italia-Usa, Follini: "Draghi chiarisca con maggioranza ortodossia atlantica"

Il punto di vista di Marco Follini per Adnkronos

(Foto Fotogramma/Ipa)
(Foto Fotogramma/Ipa)
01 maggio 2022 | 11.11
LETTURA: 3 minuti

"Può sembrare un viaggio di routine quello che il presidente del consiglio Draghi si appresta a fare la settimana prossima negli Stati Uniti. Giusto il tempo di riaffermare la storica alleanza atlantica e di valutare assieme gli sviluppi della guerra in Ucraina. Non molto più di una photo opportunity, come le tante scattate in questi decenni sul prato della Casa Bianca.

E invece, tanto di routine non sarà. Un po’, è ovvio, per la portata della crisi internazionale che stiamo attraversando. E un po’ -e questo è già assai meno ovvio- perché l’insieme della politica italiana tende a fare proprio un sentimento assai meno filo-americano rispetto anche solo a qualche mese fa. Cosa che dovrebbe forse indurre il premier a promuovere un chiarimento tra i “suoi” partiti ancor prima di decollare.

Si dirà che non è la prima volta che in Italia si sente l’eco di un sentimento critico e perplesso verso il nostro principale alleato. Perfino negli anni in cui le maggioranze politiche si fondavano sul consenso di Washington (e sulle logiche inesorabili della guerra fredda) non mancavano voci più critiche e sospettose. Ai tempi di De Gasperi, Dossetti si oppose finché poté al patto atlantico. Moro non lo votò, sia pure per personalissime ragioni familiari. E qualche anno dopo Andreotti, in cerca di consensi a sinistra, rese pubblica l’esistenza di Gladio con un gesto che di sicuro non venne apprezzato oltre oceano.

Insomma, a militare contro gli Stati Uniti non erano solo i ragazzi che scendevano in piazza tifando per i vietcong e denunciando le malefatte dell’”imperialismo”. C’era anche una significativa parte dell’establishment che diffidava della potenza americana e si prodigava per ridurre alcuni margini della sua influenza. Così, perfino allora, il vincolo stretto della nostra alleanza finiva per mescolarsi con diffidenze, incomprensioni, diversità di vedute. Certo, le maggioranze di governo si formavano solo a patto di rispettare la nostra fondamentale collocazione internazionale. Ma restava, anche all’epoca, un piccolo margine di dissenso legato un po’ alle vecchie culture politiche e un po’ all’afflato pacifista delle nuove generazioni.

Ora tutto questo sembra però ai nostri giorni dilatarsi e quasi moltiplicarsi. Resta a destra qualche residuo antiamericano legato alle lontane vicissitudini del secolo scorso; e a sinistra un residuo ancora più corposo ereditato dalla geografia ideologica della guerra fredda. Sentimenti ostili che si sono tramandati di padre in figlio, o meglio ancora di nonno in nipote. E che hanno trovato talvolta qualche ospitalità perfino dentro le mura della cittadella politica dei cattolici. A tutti questi retaggi si sta sommando però un più vasto sentimento di opinione pubblica che manifesta una crescente ostilità verso la politica ucraina del presidente Biden e che sembra quasi voler attribuire agli Stati Uniti una parte cospicua di responsabilità nell’escalation che si sta drammaticamente producendo da quelle parti.

Sentimenti minoritari, si dirà. Che però finiscono per trovare un’eco, e una sponda, in alcuni settori della maggioranza. Laddove Conte non perde occasione per proclamare la sua avversione all’invio di nuove armi (e prima ancora all’aumento delle spese militari). E Salvini scopre un’inedita vocazione all’irenismo di cui fino a qualche settimana fa non si vedeva traccia. E, ancora, Grillo inneggia alla Cina come alla nuova (e benevola, addirittura!) potenza egemone. Per non dire di qualche più sommesso mormorio che si ascolta perfino nei dintorni del Pd e che sembra criticare, sia pure allusivamente, un certo zelo atlantista attribuito al leader Enrico Letta.

Tutti questi pronunciamenti riflettono le apprensioni dell’opinione pubblica e trovano più facile raccordarsi a quelle paure sacrificando almeno in parte la nostra ortodossia atlantica. Quella ortodossia che Draghi si appresta a confermare in quel di Washington. Ma che forse farebbe bene a ribadire anche a Palazzo Chigi, tra i suoi stessi alleati, un attimo prima di imbarcarsi".

(di Marco Follini)

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