"Penso sia importante il riconoscimento in vita, questo sempre considerando che l’Oscar è una specie di gioco del lotto". Lo ha detto Ennio Morricone a 'Vivaverdi', house organ della Siae, la Società Italiana Autori ed Editori, che inaugura la sua nuova stagione, passando da bimestrale a quindicinale online, collocato in una sezione ad hoc del sito Siae.it., con un'intervista già in rete al compositore a una settimana dalla Notte degli Oscar.
Supercandidato per la colonna sonora del film di Quentin Tarantino, 'The Hateful Eight', Morricone arriva a Los Angeles dopo aver già conquistato nelle ultime settimane due premi, il Golden Globe e il Bafta. E il 26 febbraio arriverà un ulteriore riconoscimento: una 'Stella' sulla 'Walk of Fame' di Hollywood che sarà offerta da Siae. Alla cerimonia di posa sarà presente il consigliere di gestione della Siae e sceneggiatore Andrea Purgatori.
"Per un periodo - racconta Morricone - ho pensato di fare il medico, ma mio padre per fortuna quando sono arrivato all’età giusta mi mandò a studiare musica. Ho cominciato a seguire con attenzione tutto quello che succedeva al di fuori del Conservatorio: la dodecafonia, la musica aleatoria, la musica gestuale, i compositori Stockhausen, Cage, Schönberg, Berg, Webern, il direttore d'orchestra e compositore Boulez, i compositori Nono, Maderna. E in quel momento decisi di mettermi a confronto con i grandi del passato".
"Tutto è servito - continua Morricone - anche i lavori più umili, anche se umili non è il termine giusto: è meglio dire i lavori più semplici, come arrangiare le canzoni. Tutto è servito alla tecnica e all’esperienza che già avevo acquisito, agli amori che avevo per i classici del passato. Tutto questo creò una specie di mescolanza psichica e tecnica in me: potevo scrivere in tutti i linguaggi".
Parlando della sua esperienza come compositore di colonne sonore per il cinema, Morricone sottolinea: "Volevo trasferire nella musica per il cinema la musica fatta di rumori, quella che chiamavano musica concreta; compositori francesi come Pierre Schaeffer e Pierre Henry, che furono importantissimi in questo senso, mi impressionarono molto”. E ancora: "Il cinema può fare a meno della musica, però se si applica la musica, deve rappresentare quello che non si vede e quello che non si dice. Quindi la musica è fuori, è una punta astratta che non può essere mescolata con la realtà che si vede".
Soffermandosi, infine, poi sul tema del diritto d'autore, il compositore romano sottolinea che "se non esistesse il diritto d'autore, gli artisti italiani non saprebbero come vivere".