In attesa che Joseph Mifsud, il misterioso accademico maltese della romana Link University spieghi perché si nasconde, facendo chiarezza sui tanti misteri del Russiagate, Donald Trump ha stipulato un'assicurazione sulla vita a favore dell'indagine che più gli sta a cuore, quella da lui ribattezzata Obamagate. Come è noto, si tratta (secondo le accuse di Trump) della presunta cospirazione compiuta ai suoi danni nel 2016 dai Democratici Usa con il concorso dell'Fbi e della Cia e l'aiuto di governi stranieri alleati. Trump ha stipulato la 'polizza' con due atti che non potranno essere cancellati dal nuovo presidente Joe Biden. Il primo, indiretto, risale allo scorso ottobre, ma è stato reso noto solamente all'inizio di dicembre. Il secondo, datato 22 dicembre, porta direttamente la firma del presidente.
Nel primo caso, si tratta della nomina da parte del ministro della Giustizia William Barr (che si è poi dimesso in rottura con Trump per la questione delle presunte frodi elettorali) del procuratore del Connecticut John Durham, scelto nel 2019 per indagare sulla genesi del Russiagate, a procuratore 'speciale'. La nomina, che ha la sua legittimazione in varie norme giuridiche difficilmente aggirabili, mette al riparo Durham e la sua inchiesta da eventuali archiviazioni decise dal nuovo ministro della Giustizia della futura Amministrazione Biden.
In pratica (se non con una forzatura che si potrebbe rivelare politicamente imbarazzante), Durham non potrà essere rimosso e potrà concludere la sua indagine, che ha valenza penale, con nuovi eventuali rinvii a giudizio ed un rapporto finale. Barr, vista la valenza politica che negli ultimi 18 mesi ha assunto il lavoro di Durham, ha in pratica voluto 'blindare' l'indagine, "senza riguardo per il risultato delle elezioni", come ebbe a spiegare a dicembre, nell'annunciare il nuovo ruolo del procuratore. L'ex ministro della Giustizia lasciò anche intendere che, nonostante la nomina risalisse ad ottobre, l'annuncio venne fatto a dicembre per non influenzare il processo elettorale in corso. Un ulteriore motivo di rottura con Trump, che avrebbe invece voluto usare l'indagine come arma politica contro Biden e i Democratici.
Il secondo atto con il quale Trump intende agire da spina nel fianco della nuova Amministrazione, ha la forma giuridica di un memorandum firmato dal presidente il 22 dicembre scorso, con il quale autorizza Durham ad utilizzare per la sua indagine tutte le rilevanti informazioni top secret, ancora coperte da omissis e da segreto. Si tratta di materiale del quale lo stesso Trump, che ne ha invocato ripetutamente la desecretazione, in molti casi non è a conoscenza diretta, visto il suo doppio ruolo di presidente e oggetto delle indagini.
Il materiale in questione, salvo documenti ancora inediti, è contenuto principalmente in due rapporti ufficiali. Il primo è il Rapporto dell'allora procuratore speciale Robert Mueller, che accorpò le indagini aperte dall'Fbi sulle presunte collusioni nel 2016 tra la campagna Trump e il Cremlino per danneggiare la candidata democratica Hillary Clinton. Mueller, ex direttore dell'Fbi, nell'aprile del 2018 rese pubblico il Rapporto nel quale affermava che, sebbene la Russia tentò di influenzare le elezioni di due anni prima, non esistevano prove di una collusione diretta tra Trump e il Cremlino. Diverse parti di quel documento, contenenti nomi, date e circostanze, rimangono ad oggi coperte da omissis.
Un altro documento che potrebbe contenere informazioni potenzialmente illuminanti sul Russiagate-Obamagate, ma sensibili per la sicurezza nazionale degli Usa e dei loro alleati, è il Quinto Volume del Rapporto bipartisan redatto dalla commissione Intelligence del Senato Usa sulle interferenze della Russia nelle elezioni del 2016. Anche in questo caso, il materiale è coperto da numerosi omissis, che potranno però essere sollevati da Durham, in forza del potere che gli è stato assegnato da Trump con il suo memorandum del 22 dicembre.
Per molti versi, l'indagine del procuratore speciale sull'origine del Russiagate e i presunti abusi ai danni di Trump è stata finora una delusione per il presidente Usa uscente, che infatti se ne è lamentato dopo le elezioni del 3 novembre. Di fatto, l'indagine ha ad oggi prodotto unicamente una dichiarazione di colpevolezza da parte di un ex avvocato dell'Fbi, Kevin Clinesmith, che ha ammesso di avere falsificato nel 2016 un documento per ottenere dal tribunale speciale Fisa l'autorizzazione a continuare a spiare ed intercettare l'allira consulente della campagna di Trump, Carter Page.
Poco, si fa notare a Washington, rispetto alle aspettative che nell'indagine avevano riposto Trump e i Repubblicani, decisi a dimostrare la "corruzione" dei Democratici e dell'Amministrazione Obama. In altri ambienti si fa però notare che l'indagine di Durham, per il fatto stesso che non è stata dichiarata conclusa e in virtù dei nuovi poteri assegnati da Barr e Durham al procuratore, deve ancora 'esplodere' e rivelare la sua piena portata, rimanendo così una spina nel fianco dei Democratici Usa e dei loro alleati all'estero.
A tale proposito, va ricordato che lo stesso Trump, in occasione della visita di Stato del presidente della Repubblica Sergio Mattarella a Washington nell'ottobre del 2019, parlando con i giornalisti disse esplicitamente: "Si è cercato di nascondere ciò che è stato fatto in alcuni Paesi e uno di questi potrebbe essere l'Italia". Va anche ricordato che pochi giorni dopo la visita di Mattarella a Washington, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte confermò davanti al Copasir quanto già era trapelato sulla stampa, vale a dire che il ministro della Giustizia Usa Barr e il procuratore Durham erano volati a Roma in due occasioni, il 15 agosto il 27 settembre, per incontrare i vertici della nostra intelligence e chiedere chiarimenti sul presunto 'filone italiano' del Russiagate.
Argomento dei colloqui, come emerse dalle ricostruzioni giornalistiche di quei giorni, il misterioso Joseph Mifsud e il suo ruolo nella presunta cospirazione ai danni di Trump. Le domande dei due autorevoli ospiti Usa furono lasciate senza risposta, perché i vertici dei nostri 007 affermarono con decisione di non avere idea di chi fosse il professore maltese, né di suoi eventuali ruoli in una vicenda nella quale l'Italia non aveva alcun coinvolgimento. Affermazioni che sono state ripetute con decisione in più occasioni. Eppure, di Mifsud, ormai scomparso da tre anni, si parla molto non solo nel Rapporto Mueller del 2018, ma anche in quello della commissione Intelligence del Senato Usa. Rimane confermato che fu Mifsud ad 'agganciare' l'allora giovane consulente della campagna presidenziale di Trump George Papadopoulos per offrirgli materiale "sporco" su Hillary Clinton, sotto forma di migliaia di email hackerate dai servizi russi.
Proprio da quell'incontro, avvenuto a Roma nel marzo del 2016 nella sede della Link University, fondata dall'ex ministro democristiano Vincenzo Scotti, nasce tutto l'intrigo del Russiagate, dando all'Fbi l'opportunità di aprire un'indagine su Trump e di tenerlo sotto scacco per i primi due anni della sua Presidenza. Il fatto che l'ateneo romano, definito giornalisticamente "l'università delle spie", sia sempre stato accostato agli ambienti dell'intelligence italiana e, in seguito, a diversi esponenti del Movimento 5 Stelle, ha colorato la vicenda con toni all'apparenza ancora più 'misteriosi'.
Se è chiaro - almeno dai documenti ufficiali consultabili - quale fu il ruolo di Mifsud, rimane meno chiaro per chi lavorava e, naturalmente, che fine abbia fatto. Trump, il suo avvocato Rudolph Giuliani e lo stesso Papadopoulos sostengono, più o meno apertamente (ma senza prove), che il docente maltese fosse un agente operativo italiano manovrato dalla Cia. Per il Rapporto Mueller, Mifsud "sosteneva di avere solide connessioni con funzionari del governo russo". Per il Rapporto bipartisan del Senato Usa, Mifsud era "un accademico maltese con lunghi rapporti con la Russia", definiti "molto sospetti" e "mostrava un comportamento compatibile con un'azione di intelligence", laddove a Papadopoulos è concesso il beneficio del dubbio e la "inconsapevole cooptazione" nella rete predisposta dai russi.
Insomma, nella migliore delle ipotesi, Mifsud era un agente di Putin che agiva liberamente per l'Europa, compresa l'Italia, e tentava di influenzare, in un senso o nell'altro, le elezioni presidenziali Usa. Papadopoulos, che a seguito dell indagine Mueller è stato condannato ad una pena molto lieve per avere fornito informazioni inesatte all'Fbi sui suoi rapporti con Mifsud e nelle scorse settimane è stato graziato da Trump, negli scorsi anni si è spinto ad accusare l'allora premier Matteo Renzi di avere cospirato ai danni di Trump. Renzi rispose annunciando una querela da un milione di dollari, che secondo quanto ha confermato lo stesso Papadopoulos all'Adnkronos non è mai realmente partita. E alcuni quotidiani italiani oggi mettono in correlazione l'ipotetico interesse del leader di Italia Viva per la vicenda Servizi Segreti, con possibili ricadute del caso Mifsud-Russiagate.
Che ci sia ancora molto da scoprire sul professore maltese, è evidente. Da tempo, attraverso Twitter, Papadopoulos lancia messaggi in codice, chiedendo anch'egli, al pari di Trump, la desecretazione dei documenti riservati. Interpellato dall'Adnkronos, l'ex consulente della campagna presidenziale di Trump si dice certo che il 'classified material' contenga elementi che "mostrano come Obama e Biden direttamente e indirettamente abbiamo tentato di sovvertire il processo democratico nelle elezioni 2016, prendendo di mira la campagna elettorale di Trump , autorizzando e disponendo attività di 'surveillance' illegale nei confronti dei collaboratori del presidente ed espedienti per intrappolarli in crimini fantoccio". Questo, afferma Papadopoulos rilanciando le sue accuse, "con la collaborazione dei servizi segreti di altri governi".
Tornando a Mifsud, l'ultima sua testimonianza diretta, o meglio, di una 'voce' che affermava di essere Joseph Mifsud, risale al novembre del 2019, in un audio recapitato anonimamente all'Adnkronos e al Corriere della Sera. La 'voce' affermava di non essere mai stata al servizio di alcun servizio di intelligence, russo o occidentale, negando qualsiasi coinvolgimento nella 'spy story' che i media stavano raccontado. In chiusura, 'Mifsud' chiedeva aiuto a "qualcuno, da qualche parte", per "poter respirare di nuovo". Ne seguirono una serie di dichiarazioni da parte di protagonisti collaterali della vicenda, pronti a giurare o a negare che la voce incisa sul nastro fosse o non fosse affatto quella del professore maltese. Da allora, più nessuna traccia. Un altro mistero, tra i tanti, che il procuratore 'speciale' John Durham potrà continuare ad indagare, anche sotto la nuova Amministrazione Biden.
(di Marco Liconti)