"Spero non sia una sorta di ricatto politico" all'Italia dal generale Khalifa Haftar in una Libia sempre nel caos. Una situazione, quella degli equipaggi dei pescherecci italiani bloccati da quasi 100 giorni in Libia, che se non si sblocca dovrebbe essere "internazionalizzata più di quanto non sia stato fatto" chiedendo "sia l'Europa ad alzare la voce". Perché potrebbe essere utile un "richiamo europeo più forte". Parla così con Aki - Adnkronos International Arturo Varvelli dell'European Council on Foreign Relations (Ecfr).
I pescatori, sottolinea, restano "detenuti senza che ancora venga formalizzata un'accusa da parte di una sola parte libica, quella che dovrebbe essere sotto il controllo del generale Haftar e che dovrebbe avere come legittimità quella del Parlamento di Tobruk". E, prosegue, "quello che si teme è che quella parte libica", in aperto scontro (almeno politico) con il governo di Tripoli, "chieda in cambio un qualche riconoscimento politico da parte dell'Italia per liberare" i pescatori.
Quale la richiesta? "Non è chiaro", dice Varvelli, che puntualizza di non essere al corrente delle trattive e che parla di "doveroso silenzio" da parte delle autorità italiane "per non compromettere alcuna relazione". E' una vicenda che "è difficile pensare si possa risolvere a livello bilaterale" se il fronte Haftar "chiede in cambio concessioni politiche".
Il ministro della Difesa del governo di Tripoli, Salahuddin Al-Namroush, che nei giorni scorsi era a Roma, in un'intervista a Il Giornale invita l'Italia a rivolgersi alla Francia. "Penso - commenta Varvelli - che anche la Francia abbia un 'leverage' piuttosto scarso su Haftar", mentre hanno "maggiore influenza Russia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti". Ma, conclude, "ovviamente chiedere favori a questi Paesi richiede una moneta di scambio".