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Pescatori sequestrati in Libia, moglie di un marittimo: "Governo incapace"

Immagine di repertorio (Fotogramma/Ipa)
Immagine di repertorio (Fotogramma/Ipa)
07 dicembre 2020 | 16.58
LETTURA: 3 minuti

"Per noi non sarà Natale. Lo passeremo in piazza a Montecitorio. I nostri uomini non possono urlare e a noi tocca essere la loro voce, perché i riflettori su questa vicenda non si spegnano". E' arrabbiata Cristina Amabilino, da oltre tre mesi attende di riabbracciare il marito Bernardo Salvo, uno dei 18 marittimi sequestrati dalle milizie del generale Haftar lo scorso primo settembre a nord di Bengasi. "Il governo Conte si è rivelato debole, incompetente e incapace di far valere il proprio peso sullo scacchiere internazionale", dice all'Adnkronos.

Il risultato? "L'assenza di ogni certezza. Da mesi ci ripetono che le trattative sono in corso - sottolinea - ma per quanto complesse non si possono certo concludere con la pelle di 18 uomini. Facciano tutto quello che è necessario per riportarli indietro". Dell'Esecutivo Conte lei non si fida più. "Noi ci affidiamo perché sono loro che devono riportarli a casa, ma non ci fidiamo. E' stato detto persino che la colpa è dei 18 marinai, ma loro erano in acque internazionali...". Domenica, insieme ai tre figli, partirà alla volta di Roma. Nei prossimi giorni anche altri familiari si aggiungeranno alla protesta. 

"Il 24 e il 25 dicembre lo trascorrerò in piazza a Montecitorio e il 31, in occasione del discorso del capo dello Stato, ci sposteremo al Quirinale".  In piazza, a Roma, Cristina ci è già stata. Per 55 giorni. Dormendo a terra sotto la pioggia e sotto il sole per oltre una settimana e dopo in una tenda "senza che nessuno tra il premier Conte e il ministro Di Maio sentisse la necessità di ascoltare le nostre richieste". E adesso con l'avvicinarsi delle festività natalizie si dice pronta alla nuova protesta "a oltranza", perché "il tempo delle parole è finito. Non vogliamo più rassicurazioni, chiamate e foto. A tre mesi dal sequestro non ci bastano più. Il premier Conte e il ministro Di Maio vadano in Libia e riportino indietro i nostri padri, i nostri mariti e i nostri figli".

L'ultimo contatto con il marito risale allo scorso 11 novembre, dopo 72 giorni. "Una chiamata emozionante, ma che è durata pochissimo, abbiamo avuto a disposizione 2-3 minuti ciascuno - ricorda -. Sono vivi ma non stanno bene. Ci hanno detto: 'Fateci uscire da qui, non ce la facciamo più, ci sentiamo abbandonati'. Da quel giorno è calato il silenzio. Di nuovo. Non abbiamo alcuna certezza". Si dice "indignata" la moglie di Bernardo Salvo. "Da troppo tempo aspettiamo l'annuncio della liberazione". Per tenere alta l'attenzione sulla vicenda Cristina ha lasciato il lavoro da collaboratrice domestica.

"Mi sono messa in testa che la storia dei nostri uomini deve essere conosciuta, ho lottato perché non cali il silenzio. Mi sono umiliata con dignità, ho dormito in strada".  Nei lunghi mesi di attesa tante sono state le manifestazioni di solidarietà da parte del Comune e di semplici cittadini. "In tanti ci hanno aiutato, ringrazio tutti", dice, aggiungendo, però, "accanto non abbiamo sentito il Governo Conte". "Viviamo un incubo da tre mesi, siamo dentro un tunnel da cui non riusciamo a vedere la luce e oggi alla rabbia, si aggiungono il dolore e la delusione. E' una vicenda surreale. Non ci sono scuse, vadano in Libia a prendere i nostri uomini. Basta attese". 

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