Dopo 13 giorni di proteste, il primo ministro lascia: "Dimissioni risposta a richiesta delle piazze"
''Sto andando al palazzo Baabda per consegnare le mie dimissioni nelle mani del presidente Michel Aoun''. Lo ha annunciato il primo ministro libanese Saad Hariri in un discorso alla nazione dopo 12 giorni di proteste antigovernative a Beirut e nel resto del Libano.
"Le mie dimissioni sono la risposta alle richieste delle piazze in Libano", ha detto, lanciando poi un appello al popolo, perché ''mantenga la stabilità e la sicurezza del Paese''. ''I ruoli vanno e vengono, ma la dignità e la sicurezza del Paese sono più importanti'', ha aggiunto Hariri. Rivolgendosi poi a ''tutti i partner politici'', Hariri ha detto che ''oggi la nostra responsabilità è quella di trovare i modi per proteggere il Libano e risanare l'economia''. Secondo Hariri ''esiste una possibilità seria che non deve essere sprecata e rimetto le mie dimissioni nelle mani del presidente e di tutti i libanesi''.
"Ho cercato di trovare una soluzione alla nostra crisi nell'ultimo periodo, di ascoltare le necessità delle persone e di proteggere il Paese dai rischi per la sicurezza e per l'economia, ma ho raggiunto un vicolo cieco", ha continuato, aggiungendo: "Abbiamo bisogno di uno shock positivo per risolvere questa crisi". Hariri ha poi invitato i libanesi a "mettere la sicurezza economica e sociale del Libano tra le loro priorità". Secondo quanto riportano tv locali, i manifestanti nel centro di Beirut hanno festeggiato sventolando bandiere e lanciando slogan alla notizia delle dimissioni del primo ministro.
DAL NO ALLE TASSE ALLE DIMISSIONI - Sono scoppiate il 17 ottobre, contro il carovita e la crisi economica. Sono cresciute di giorno in giorno, aumentando di spessore e assumendo un carattere politico, superando le differenze settarie e unendosi nel chiedere le dimissioni del governo del premier Saad Hariri. Così le proteste in corso da 13 giorni in Libano, che hanno portato oggi Hariri a rassegnare le sue dimissioni. Una svolta celebrata dalla piazza, che ha accusato l'esecutivo di corruzione, di mal gestione della situazione economica e sperpero di fondi pubblici.
La miccia che ha scatenato la rivolta a Beirut è stato l'annuncio da parte del governo di nuove tasse su diversi beni e servizi di largo utilizzo, tra cui l'app di messaggistica WhatsApp, il tabacco e la benzina. Il nuovo pacchetto avrebbe dovuto essere approvato il 22 ottobre, ma il governo ha fatto marcia indietro. Il premier Hariri ha anche annunciato un pacchetto di riforme che prevedeva, tra l'altro, la riduzione del 50 per cento degli stipendi dei ministri e dei deputati, l'abolizione del ministero dell'Informazione e la formazione di un panel anti-corruzione. Quello stesso giorno, il 22 ottobre, Hariri ha incontrato gli ambasciatori di Stati Uniti, Russia, Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia e l'inviato della Ue per illustrare il suo piano.
Ma non c'è stato nulla da fare, i manifestanti hanno continuato a contestare il governo bloccando le principali strade di accesso alla capitale. Qui, dall'inizio delle manifestazioni, sono rimaste chiuse le banche ''a causa dell'instabilità del Paese e fino al ripristino della sicurezza''. I manifestanti hanno anche chiesto l'abolizione del segreto bancario. Da Beirut, la manifestazione si è estesa al resto del Paese.
Il 24 ottobre è arrivato l'atteso discorso del presidente Michel Aoun, che rivolgendosi ai manifestanti si è detto pronto a incontrarli e ad ascoltare le loro richieste. Aoun ha anche auspicato un rimpasto di governo, ma il suo intervento è stato giudicato ''tardivo e generico'' dalla piazza, che ha insistito sulla necessità che il governo si dimetta. Il leader del movimento islamico sciita Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha espresso sostegno al governo e chiesto ai suoi seguaci di abbandonare le manifestazioni. Con la piazza si è schiarato il patriarca maronita al-Beshara al-Rahi.