L'idea lanciata da Nir Eyal, direttore del Center for Population-Level Bioethics della Rutgers University
di Margherita Lopes
Infettare un centinaio di persone sane con il nuovo coronavirus per accelerare i test sui vaccini. Molti scienziati vedono il vaccino come l'unica soluzione alla pandemia. Ma uno dei maggiori ostacoli è proprio dimostrare efficacia e sicurezza dei candidati: occorrono ampi studi di fase III, in cui migliaia di persone ricevono vaccino o placebo e i ricercatori monitorano chi viene infettato nel corso della vita quotidiana. Un'opzione più rapida sarebbe quella di condurre uno studio su un piccolo gruppo di volontari, infettati ad hoc. Lo sostengono gli scienziati in un provocatorio documento appena diffuso. Ciò implicherebbe esporre qualcosa come 100 giovani sani al virus e vedere se i vaccinati non contraggono l'infezione.
A descrivere la sua proposta choc su 'Nature' è Nir Eyal, direttore del Center for Population-Level Bioethics della Rutgers University a New Brunswick, nel New Jersey. Secondo l'esperto lo studio potrebbe essere condotto in modo sicuro ed etico. Questo tipo di trial "potrebbe accelerare notevolmente i tempi di approvazione e di potenziale utilizzo del vaccino - spiega - Quello che richiede più tempo nei test dei vaccini è proprio il trial di efficacia di fase III. Viene fatto su moltissime persone: alcune ricevono il vaccino e altre il placebo e i ricercatori cercano le differenze tra questi due gruppi nei tassi di infezione. Tuttavia ci vorrà molto tempo prima che emergano risultati. Se invece si espongono tutti i partecipanti allo studio al patogeno, non solo serviranno molti meno volontari ma, cosa ancora più importante, occorrerà periodo molto più breve per ottenere risultati".
Non mancano i precedenti. "Facciamo i cosiddetti 'human challange study' per le malattie meno mortali abbastanza frequentemente. Ad esempio per influenza, tifo, colera e malaria. Ci sono alcuni precedenti storici, invece, per l'esposizione a virus molto mortali. Ma noi riteniamo che ci sia un modo per rendere questi processi sorprendentemente sicuri", dice lo studioso.
In pratica, si inizierebbe solo "dopo alcuni test preliminari per garantire che un candidato al vaccino sia sicuro e attivi una risposta immunitaria nell'uomo. Quindi si riunisce un gruppo di persone a basso rischio, soggetti giovani e relativamente sani, accertandosi che non siano già infetti. A quel punto - dice Nir Eyal - si somministra il candidato vaccino o un placebo e si aspetta abbastanza tempo per una risposta immunitaria". Dopodiché le 'cavie umane' vengono esposte al virus.
Un attento monitoraggio dei volontari "proteggerebbe anche i partecipanti allo studio esaminandoli quotidianamente o anche più spesso, e fornendo loro un trattamento sanitario eccellente immediatamente dopo il rilevamento dell'infezione. Non è una cosa banale - avverte - Ho consigliato ai medici di terapia intensiva di prepararsi a picchi di coronavirus. E ci aspettiamo, sulla base dell'esperienza in Italia e non solo, che ci saranno gravi carenze di risorse in terapia intensiva. Prima che i candidati vaccino vengano provati, potrebbero essere disponibili alcuni trattamenti efficaci. E sicuramente i coraggiosi volontari che arruoleremo dovrebbero avere accesso immediato a queste terapie".