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Strage Bologna, sei i passaporti cileni falsi collegati al terrore: ecco a chi appartenevano

Numeri simili e stesso luogo di emissione, Quillota. Uno – l’AdnKronos lo ha raccontato nei giorni scorsi – viene usato nei giorni precedenti l’attentato

Strage Bologna, sei i passaporti cileni falsi collegati al terrore: ecco a chi appartenevano
12 ottobre 2019 | 15.27
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Sono sei i passaporti falsi cileni che compongono lo stock di documenti contraffatti, tutti con caratteristiche molto simili (dai numeri ‘vicini’ al medesimo luogo di emissione), spuntati nelle indagini sulle stragi firmate dal terrorismo internazionale arabo e dal gruppo di Carlos lo Sciacallo eseguite dalle polizie di mezzo mondo, Italia compresa. Uno di quei passaporti – l’AdnKronos lo ha raccontato nei giorni scorsi – viene usato a Bologna, nei giorni immediatamente precedenti l’attentato per cui sono stati condannati in via definitiva i ‘neri’ Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, da una donna che sembrerebbe non essere mai stata identificata.

La storia di altri due di quei passaporti, rivelata ancora dall’AdnKronos, riguarda due personaggi che, a metà degli anni ’70, si imbarcano su due voli Twa 841 con una bomba al seguito. Il primo arriva a destinazione per l’accidentale malfunzionamento dell’ordigno, il secondo, tredici giorni dopo, esplode sul Mar Ionio con 88 persone a bordo, tra cui tre italiani, (lo steward Gianpaolo Molteni e le hostess Isabella Lucci-Masera e Angela Magnoni).

Chi disponeva degli altri tre passaporti? Due sono utilizzati da Ilich Ramirez Sanchez, alias Carlos lo Sciacallo. L’intelligence inglese scopre, a un certo punto, che Carlos sta usando un passaporto cileno falso con il numero di serie 035857 intestato a Hector Hugo Dupont e avverte i colleghi dei Servizi segreti di Francia, Germania, Olanda, Belgio e Italia. Con quello stesso numero di passaporto cileno falso, Carlos viene segnalato a Talcahuano, in Cile, nel 1970, mentre si sta recando ad un incontro a Hualpencillo con alcuni terroristi.

Ma non si tratta dell’unico passaporto cileno falso che lo Sciacallo esibisce. Ne utilizza un altro, numero 035848, a nome di Adolpho Bernal sul quale ha appiccicato la sua foto. Ufficialmente è un ingegnere, e il passaporto è stato rilasciato nella cittadina cilena di Quillota. Un nome da non dimenticare, perché comparirà diverse altre volte in questa storia.

Il passaporto falso cileno intestato a Adolpho Bernal verrà scoperto in maniera rocambolesca nel 1975 in un appartamento di Londra, dove Carlos, che riesce a sfuggire alla cattura, vive assieme alla basca Angela Otaola e al fidanzato di lei, il britannico Barry Woodhams. Sarà quest’ultimo a scoprire, nascosta in casa, una borsa contenente armi, munizioni ed esplosivo - gelignite - appartenenti al terrorista, così come i documenti falsi, il passaporto cileno e una patente kuwatiana. Siamo nel giugno 1975.

Due mesi prima, il 7 aprile 1975, un documento dell’Ispettorato per l’azione contro il terrorismo e gli Affari Riservati dello Stato italiano aveva rivelato che un altro passaporto cileno falsificato era spuntato in Svezia nelle mani del terrorista giordano Michel Archamides Doxi, addestrato in un campo libanese del Fplp, il Fronte Popolare della Liberazione della Palestina.

“Un Servizio (segreto, ndr) amico – scrive l’Ispettorato italiano nella nota custodita oggi negli archivi della Commissione parlamentare sulle stragi e il terrorismo - ci ha comunicato che il giordano Michel Archamides Doxi, nato a Gerusalemme il 20.4.1956, dimorante in Svezia, ha recentemente inoltrato alla Autorità di quella nazione una istanza per ottenere la concessione dell’asilo politico. Il medesimo era giunto prima in Danimarca, quindi in Svezia con un passaporto cileno contraffatto n 037972, rilasciato a Quillota il 5.12.1972 a nome di Eduardo Hernandez Torres”. Dunque l’ennesimo passaporto cileno falso. Come quelli esibiti da Carlos. Come quello spuntato a Bologna. Ancora rilasciato a Quillota.

“Secondo le sue dichiarazioni - continua la nota dell’Ispettorato - nel gennaio 1973 (Doxi, ndr) sarebbe stato inviato in un campo libanese del Fplp per addestramento e, in seguito, a Bari in compagnia di due giovani donne allo scopo di portare in Italia delle pistole e delle bombe a mano. Le stesse armi rinvenute poi indosso ai due sedicenti iraniani arrestati all’aeroporto di Fiumicino il 4 aprile 1973. Per questo viaggio in Italia - specifica la nota secondo le informazioni avute dal Servizio segreto collegato - avrebbe utilizzato un passaporto contraffatto dell’Honduras, rilasciato al nome di Tomas Gonzalo Perez. Nel maggio 1973, sarebbe stato inviato a Ginevra, dove una donna danese gli avrebbe consegnato una bomba per eseguire un attentato, non portato a termine, all’aeroporto di Lod”, in Israele.

“Si suppone - ipotizza l’Ispettorato - che i guerriglieri palestinesi abbiano falsificato un certo numero di passaporti con le stesse caratteristiche al fine di utilizzarli per compiere azioni terroristiche”.

Ma la questione non finisce qui perché la nota dell’Ispettorato italiano per l’azione contro il terrorismo e gli Affari Riservati si sofferma su un particolare di non poco conto in relazione al passaporto di Michel Archamides Doxi: “Il passaporto cileno ha il numero quasi identico ed identica località di rilascio di quello in possesso a Josè Mario Garcia Aveveda, responsabile dell’incendio avvenuto a bordo del velivolo Twa volo 841 del 26 agosto 1974”. Quale località di rilascio? Sempre Quillota.

A questo punto ad attirare l’attenzione è il viaggio in Italia del giordano Archamides Doxi. Chi sono le donne che lo accompagnano quando sbarca dalla nave Ausonia a Bari? “Una delle donne era una cittadina libanese di nome Maha Abu Halil – scrivevano i Servizi segreti svedesi avvertendo l’Italia - L’altra era una cittadina italiana, della quale (Doxi, ndr) conosceva soltanto il primo nome: Rita. Al termine della missione, Rita restò in Italia, mentre Halil fece ritorno in Libano”. Interrogato dai Servizi segreti svedese, Doxi rivela che “Rita” avrebbe “preso parte ad un lungo corso d’istruzione alla guerriglia, tenuto dal FPLP nel Libano e sarebbe stata utilizzata per il trasporto di armi ai diversi Paesi europei e in diverse occasioni”.

Sulla Ausonia attraccata a Bari, quel giorno, rivelano i Servizi Segreti italiani, era imbarcata Rita Porena, la giornalista italiana amica del capocentro del Sismi a Beirut, Stefano Giovannone. Proprio la donna che in una intervista ad Abu Ayad, uno dei capi dell’organizzazione palestinese Al Fatah, accusava gli ambienti di destra della strage alla stazione di Bologna.

“Secondo il Doxi - scrive nella sua relazione l’Ispettorato Generale per l’azione contro il terrorismo, datato 27 giugno 1975 - l’introduzione di armi dal Medio Oriente in Occidente viene solitamente affidata a donne. Esse sono ben vestite, alloggiano in ottimi alberghi, sono in possesso di molto denaro e viaggiano con passaporti sudamericani o italiani”. A questo punto la domanda è lecita: chi era dunque quella donna che, nascosta dietro il passaporto cileno falso numero 30435 intestato a Juanita Jaramillo - uno dei tanti passaporti falsi cileni, come si è visto, utilizzati dai terroristi arabi e da quelli del gruppo Carlos – alloggiava il giorno della strage all’Hotel Milano di Bologna proprio di fronte alla stazione?

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