Dalla perizia emerge che i reperti appartengono a due donne
A quanto apprende l’Adnkronos, apparterrebbero a due persone diverse, entrambe di sesso femminile, i reperti organici – un osso della mano e un lembo facciale con uno scalpo - ritrovati all’interno della piccola bara di Maria Fresu, una delle 85 vittime della strage di Bologna – l’unica ufficialmente ‘disintegrata’ - i cui resti sono stati riesumati, il 25 marzo scorso, nel cimitero di Montespertoli dai periti incaricati dalla Corte d’Assise di Bologna che sta processando l’ex terrorista Gilberto Cavallini.
La clamorosa scoperta è stata comunicata oggi ai periti delle parti, fra cui il docente di Scienze Biomediche e Biotecnologiche dell'Università di Ferrara, Matteo Fabbri, convocati al Dipartimento di Biologia Evoluzionistica dell’Università di Firenze dal perito della Corte, la biologa genetico forense Elena Pilli, capitano del Ris dei carabinieri di Roma, che è riuscita a estrarre 24 marcatori - ne occorrono almeno 9 - dei profili del Dna nucleare e mitocondriale dal materiale consegnatole e ufficialmente attribuito, evidentemente in maniera arbitraria, alla Fresu.
Il Dna mitocondriale va a identificare un numero di persone che discendono dalla stessa linea femminile, al contrario il Dna nucleare definisce un solo unico soggetto. Il materiale organico esaminato dalla biologa genetico-forense Elena Pilli – un lembo facciale , un piccolo scalpo con una chioma nera, un frammento parziale delle dita della mano destra, e un frammento di mandibola in prossimità del mento con alcuni denti – sarà comparato, nei prossimi giorni, con il Dna di due parenti di Maria Fresu che hanno dichiarato la propria disponibilità, il fratello Bellino e la sorella Isabella, i quali sono stati convocati domani mattina presso il Dipartimento di Biologia Evoluzionistica dell’Università di Firenze dal perito della Corte per procedere al prelievo salivare del Dna.
La perizia, il cui deposito è previsto per il 20 settembre prossimo – il 23 è fissata la prossima udienza del processo a carico di Gilberto Cavallini – si è resa necessaria per tutta una serie di incongruenze e di misteri che gravano sulla fine della giovane madre sarda scomparsa, nessuno sa spiegarsi come, nella strage di Bologna e che fanno ipotizzare l’esistenza di una 86sima vittima, forse la terrorista che trasportava l’ordigno, una valigia esplosiva.
Lo stesso perito esplosivista della Corte d’Assise di Bologna, Danilo Coppe, la giudica implausibile alla luce delle sue profonde conoscenze in materia. Anche perché Maria Fresu, la figlioletta Angela e le due amiche Verdiana Bivona e Silvana Ancillotti, si trovavano lontane dal punto dell'esplosione, comunque in quell'area che non venne investita direttamente dalla detonazione. Coppe ha escluso che l'esplosione dell'ordigno della strage di Bologna possa aver disintegrato le persone presenti, a prescindere dalla loro collocazione sulla scena.
Peraltro in un’intervista esclusiva concessa all’Adnkronos il 22 maggio scorso, Silvana Ancillotti, l’unica del gruppo di amiche sopravvissuta alla strage, ha raccontato che nel momento dell’esplosione si trovavano tute vicine e Maria Fresu era in piedi di fronte a lei, a Verdiana Bivona e alla piccola Angela, a un metro di distanza.