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L'Europa sulla Luna? Sì, ma occhio a Musk. L'avvertimento di Spagnulo

Il programma Artemis potrebbe subire contraccolpi dall’arrivo del duo Trump-Musk alla Casa Bianca. Tutti gli scenari di Marcello Spagnulo all’Adnkronos

L'Europa sulla Luna? Sì, ma occhio a Musk. L'avvertimento di Spagnulo
03 dicembre 2024 | 17.03
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Qual è la realtà dell’esplorazione spaziale italiana ed europea? L’Adnkronos lo ha chiesto all’ingegnere aeronautico Marcello Spagnulo, consigliere scientifico di “Limes” e autore di “Capitalismo stellare” (Rubbettino). “In teoria l’Europa è in prima linea nel programma Artemis, capitanato dalla Nasa e al quale partecipano decine di Paesi per riportare l’uomo sulla Luna, ma ora c’è un grande punto interrogativo: che impatto avranno sulle strategie spaziali americane Donald Trump e il suo ‘first buddy’ Elon Musk, proprietario tra le altre cose di SpaceX e Starlink? Magari non cambierà molto, magari invece la traiettoria sarà alterata e noi europei non abbiamo un piano B”.

Per quali motivi una nuova amministrazione potrebbe avere progetti diversi? “Molte voci all’interno del settore spaziale americano - prosegue Spagnulo - parlano di Artemis come di un programma costoso e complicato, che ha già registrato una serie di ritardi. Perciò non è escluso che alla Casa Bianca vorranno accelerare la missione, magari affidandola a operatori privati come SpaceX di Musk e Blue Origin di Jeff Bezos”. Il fondatore di Amazon è più indietro nella corsa spaziale, ma si è allineato a quella politica: ha bloccato l’endorsement del suo ‘Washington Post’ a Kamala Harris e poi twittato in maniera più che entusiastica alla vittoria di Donald Trump. “Non è una questione di un partito o di un altro, si tratta di due imprenditori che hanno ormai ramificazioni in settori strategici dell’industria e della difesa americana e sono pronti a lavorare con chiunque sieda alla Casa Bianca. La rivalità è indubbia ma l’apparato Usa favorisce la ridondanza: se hai un miliardario che ti assicura un dominio nello spazio, è sempre meglio averne due…”

E poi c’è il convitato di pietra: la Cina. Che da 20 anni porta avanti il suo programma lunare, e con pazienza rispetta tutte le ‘milestone’ che si è data. “A Pechino prevedono di portare i primi astronauti cinesi sulla Luna entro il 2030. In questo momento, nessuno è in grado di dire se arriveranno prima loro o gli americani. Ma al di là delle dichiarazioni di Trump e Musk, non credo che il governo americano vorrà vedersi scavalcare dal suo principale rivale geopolitico. Per questo temo che ulteriori ritardi o extra-budget del programma Artemis potrebbero mettere a repentaglio la sua tenuta”, spiega l’ingegnere. E noi europei non saremmo in grado di portare avanti la missione da soli, magari con tempi più lunghi? “Al momento no”, risponde Spagnulo. “Non perché manchino le capacità, il problema è che nessuno ha pensato di muoversi senza la Nasa. L’Europa ha investito molte risorse e sforzi industriali in Artemis, in cui è responsabile per alcune parti della stazione lunare Gateway e della capsula Orion. Speriamo che i piani non siano stravolti. Un po’ di chiarezza arriverà dopo il 20 gennaio, giorno dell’insediamento del Trump-2, che nominerà i nuovi vertici della Nasa e del National Space Council. Due scelte che saranno un segnale importante per capire quale direzione prenderà il programma spaziale americano”.

Poi c’è il sogno marziano. Trump ha detto espressamente a Musk “portaci su Marte”, ma il problema ancora irrisolto, oltre ai limiti tecnici delle navicelle, è quello delle radiazioni cosmiche: gli astronauti sarebbero esposti per mesi a un bombardamento di raggi che equivalgono a una condanna a morte. “Sì, e poi arriverebbero sul pianeta rosso dopo mesi a micro-gravità, che non riescono a camminare”, prosegue l’esperto. “Fare una previsione sull’arrivo dell’uomo su Marte è impossibile. Invece, a seconda degli sviluppi dell’astronave di Musk, immaginare un robot umanoide con tuta da astronauta che sbarca sul pianeta tra 4-5 anni è decisamente più realistico. E, a mio avviso, comunque una grande vittoria sul piano tecnologico”. Perché allora si parla di un possibile futuro umano in un contesto così inospitale? “Se vogliamo farci condizionare dalle suggestioni fantascientifiche dello stesso Musk, è possibile che i suoi investimenti in Neuralink, l’apparato che si collega al cervello, abbiano come obiettivo anche quello di potenziare il corpo umano per renderlo capace di affrontare ambienti dannosi per la nostra biologia”.

Infine, la valutazione di SpaceX. Ieri è circolata l’indiscrezione di una vendita di ‘insider shares’ della società che la valuterebbe 350 miliardi di dollari, il doppio rispetto a un anno fa. È tutto merito della capacità di lanciare carichi nello spazio ogni tre giorni, contro i mesi delle rivali europee? “Solo in piccola parte”, spiega Spagnulo. “Nel 90% di quei lanci si trasportano satelliti di Starlink. È quello il business che viene – a breve-medio termine – considerato il più appetibile. Connettere tutte le Tesla (riecco le sinergie) del mondo, e poi gli smartphone, gli eserciti, le marine, le aziende… Da anni SpaceX ha un accordo con l’operatore americano T-Mobile, con cui offre il servizio direct-to-cell. Ovvero messaggi in grado di arrivare in qualunque parte del mondo senza bisogno di copertura ‘tradizionale’. E Musk ha già chiesto alla FCC, l’authority di settore americana, non solo di avere più frequenze di trasmissione per i suoi satelliti, ma anche di poterli lanciare a quote più basse. La seconda generazione di satelliti Starlink, che è più grande e più potente, potrebbe così abbattere la latenza (oggi uno dei veri limiti di questo tipo di connessioni) e potenziare il servizio che già sta prendendo molto piede. Per questo SpaceX è valutata (almeno) 350 miliardi”.

Saremo quindi tutti connessi a Starlink? “Non è detto: il ruolo e il carattere di Musk hanno fatto sì che, ad esempio, il Brasile facesse un accordo con la Cina per tenere fuori i satelliti del miliardario sudafricano. E persino Taiwan, con il suo rapporto teso con la Cina, non ha voluto affidarsi solo ai satelliti di Musk ma vuole diversificare: la sua paura è di affidarsi in tutto e per tutto a un soggetto che ha molti legami con la Cina (fabbriche Tesla, batterie, ecc.) e che al momento cruciale potrebbe spegnere le comunicazioni dei taiwanesi”, conclude Spagnulo. (di Giorgio Rutelli)

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