Per il pianeta è meglio usare i metodi digitali. In Italia qualcosa si muove ma ci sono ancora molte resistenze al ‘cashless’
La salute del Pianeta passa anche da come paghiamo le cose che compriamo. Probabilmente non ce lo siamo mai chiesto, ma il contante inquina. E inquina più del digitale, per la precisione il 21% in più. Un problema in Paesi come l’Italia dove il cashless fatica ad attecchire per ragioni culturali, pregiudizi e, in alcuni casi, anche per ragioni molto poco nobili come il famoso ‘nero’. Non a caso siamo il secondo Paese in Europa (il primo, forse sorprendentemente, è la Germania) per le emissioni generate dai pagamenti con banconote e monete: circa 2,7 kg a testa, per un totale di oltre 160,8 mila tonnellate di Co2. Almeno in grossa parte evitabili.
Il dato viene dal Rapporto 2024 della Community Cashless Society, la piattaforma creata da The European House - Ambrosetti (TEHA) dedicata a contenuti, idee e iniziative business circa i pagamenti elettronici.
Ma cos’è un pagamento cashless? Banalmente, è la movimentazione di denaro in modo digitale oppure un pagamento di beni o servizi che viene effettuato senza il classico contante o gli assegni ma attraverso forme di pagamento elettronico come – ma non solo - carte di debito o credito.
Secondo un’elaborazione fatta da TEHA, l’Italia nel 2023 è ancora tra le 30 peggiori economie al mondo – su 144 Stati – per dipendenza dal contante. Esiste infatti un indicatore apposito, il Cash Intensity Index, che mette in relazione l’incidenza di banconote e monete rispetto al Prodotto Interno Lordo (PIL) dei principali Paesi. L’anno scorso, l’Italia è passata, peggiorando, dal 29mo al 28mo posto.
Ma cerchiamo di capire perché il contante inquina: i motivi sono molti e riguardano tutto il ciclo di vita di cartaceo e monete (queste ultime, almeno, più resistenti).
A cominciare dalla produzione delle banconote, che richiede materie prime quali rame, nichel e acciaio la cui estrazione consuma moltissima energia e risorse naturali, provocando allo stesso tempo danni all’ambiente e generando emissioni di gas serra. Per realizzarle, inoltre, sono necessarie sostanze chimiche tossiche, che diventano scarti altrettanto tossici da gestire.
Si prosegue con il trasporto e la distribuzione, che provocano Co2, e si finisce con lo smaltimento, altro momento critico visto che le banconote logore e distrutte, da sostituire, diventano un rifiuto speciale che va trattato con particolari accorgimenti.
La Banca d’Italia, nel suo annuale Report di Sostenibilità, dedica un capitolo proprio a questi aspetti e alle azioni che sta mettendo in atto per ridurre l’impatto ecologico del contante.
Volendo poi quantificare questo inquinamento, la Banca Centrale Europea (Bce) ha calcolato che l'impronta ambientale media dei pagamenti mediante banconote nel 2019 è stata pari a 101 micropunti (μPt) per cittadino dell'area dell'euro. Una cifra equivalente a 8 km percorsi in auto.
Dal Rapporto TEHA, che verrà presentato il 4 aprile durante un evento a Cernobbio, emerge tuttavia che in Italia il cashless sta accelerando. Ma ci sono ancora molte resistenze ad abbandonare il contante. Una survey condotta in occasione del report su 500 esercenti indica che 8 su 10 accettano i pagamenti digitali, e, dato molto rilevante, che la spinta viene dai clienti: il 58% ha introdotto forme immateriali di pagamento proprio per soddisfare le richieste degli acquirenti e non per iniziativa propria.
I commercianti infatti stimano di poter perdere mediamente il 26% della clientela se rimanessero ancorati al contante, percentuale che arriva oltre il 60% nell’alimentare, abbigliamento, bar/tabacchi, hotel/strutture ricettive. Al contrario, oltre il 50% di chi ha introdotto strumenti alternativi per pagare ha visto aumentare le vendite.
Ma perché tanta diffidenza verso un sistema pratico e, scopriamo, anche amico della transizione ecologica e dell’ambiente?
Intanto la percezione della sicurezza, influenzata da pregiudizi culturali: un esercente su 5 (20%) pensa che sia il contante metodo più sicuro per pagare.
Altro problema riguarda conoscenze e competenze, il cosiddetto ‘digital divide’: il 26% dei commercianti non usa nemmeno il web per la propria attività, il 50% non pensa di aver bisogno di skill digitali avanzate, mentre il 60% valuta o molto basso il grado di raccolta e valorizzazione dei dati dei propri clienti.
Difficoltà che segnano una cesura netta tra Nord e Sud per quanto riguarda l’uso del contante, con il primo più aperto all’innovazione e il secondo più restio al cambiamento.
Ma il motore principale per cui si continua a usare le banconote, come stiamo per vedere, è l’abitudine, il ‘si è sempre fatto così’: frase che, se l’essere umano avesse seguito davvero nella sua evoluzione, andrebbe in giro con la ruota quadrata e ancora dormirebbe nelle grotte.
Insomma c’è anche un aspetto che potremmo definire psicologico rispetto alla forma di pagamento che si sceglie. E che anche secondo Lorenzo Tavazzi, senior partner e responsabile Area Scenari e Intelligence di The European House –Ambrosetti, va tenuto in debita considerazione: “Serve rimuovere le barriere che ostacolano la promozione dei pagamenti digitali. La spinta della clientela, che rappresenta il driver principale di trasformazione, potrebbe diventare ancora più importante con la diffusione, ad esempio, delle soluzioni Buy Now Pay Later”,
Questa forma di pagamento, in effetti, sta guadagnando terreno. Nel 2023 il 40% degli utenti ha effettuato almeno il 10% dei propri acquisti online con soluzioni Buy Now Pay Later, che prevedono di comprare subito e pagare dopo, in una data futura, tramite finanziamento a breve termine. Da notare che il 60% degli utenti, senza questa opzione, non avrebbe comprato; perciò, la possibilità di avere questo tipo di scelta può essere determinante.
Ampio margine di miglioramento anche per le modalità P2P come Paypal e Satispay, attualmente accettate da una piccola percentuale di esercenti.
Lo studio TEHA ha indagato i motivi per cui agli italiani il contante piaccia tanto da essere restii ad un suo abbandono. In cima, come dicevamo, l’abitudine:
• abitudine: 34% (37% nel 2022)
• velocità/comodità: 16% (11 % nel 2022)
• convenienza economica: 8% (9% nel 2022)
• sicurezza: 8% (7% nel 2022)
• reticenza all’accettazione: 7% (5% nel 2022)
• efficace gestione delle spese: 7% (5% nel 2022)
• anonimato della transazione: 4% (3% nel 2022)
• difficoltà di uso dei pagamenti elettronici: 3% (3% nel 2022)
In ogni caso, qualcosa si muove, spiega il Report TEHA: 3 italiani su 4 vedono nelle transazioni senza contante la modalità di pagamento preferita e 6 su 10 hanno aumentato l’uso del digitale in questo campo nell’ultimo anno. Lo zoccolo duro – durissimo – di chi non ha mai usato il cashless tra gli adulti è un misero 1%. Se vogliamo anche poco, considerando l’alta quota di anziani e grandi anziani presente in Italia, Paese soggetto ad un pronunciato e progressivo invecchiamento e dove anche il digital divide dovuto all’età può avere un certo peso.
Il cashless quindi sta guadagnando terreno, nonostante l’aumento del tetto all’uso del contante a 5000 euro, aumento che d’altra parte influisce poco sulle scelte quotidiane della maggior parte degli italiani, per i quali infatti, sempre secondo le risposte date alla Community Cashless Society, non si userà di più il cartaceo per questo motivo.
Il maggior pregio del cashless risulta essere la velocità e la comodità, che gli italiani stanno scoprendo (il 60% in più la pensa così rispetto al 2021) anche grazie alla pandemia che ha allargato la diffusione dell’uso dei pagamenti digitali, più igienici rispetto al passaggio di mano continuo di banconote e monete.
Come risultato, nel 2023 i concittadini che usavano abitualmente il cashless sono stati il 10,3%, in aumento dal 6,7% del 2022.
Ecco perché gli italiani apprezzano i pagamenti digitali:
• velocità/comodità: 48,8% (38% nel 2022)
• tracciabilità delle spese: 12,9% (6,1% nel 2022)
• abitudine/prassi: 10,3% (6,7% nel 2022)
• sicurezza: 10,2% (6,7% nel 2022)
• efficace gestione delle spese: 4,8% (3% nel 2022)
• convenienza economica: 3,4% (3% nel 2022)
Per 2 italiani su 3 inoltre, il pagamento digitale può contrastare l’evasione fiscale e il sommerso; i più pronti a questo riguardo sono i giovani e al Sud.
In sintesi, i primi dati del Rapporto TEHA indicano che l’Italia si stia muovendo davvero verso una società senza contante, ma anche che permane un certo gap con la parte più virtuosa dell’Europa. Inoltre, considerando le forti differenze geografiche, sono necessarie politiche attive di diffusione dei pagamenti digitali ad hoc rispetto alle diverse aree del Paese.
Necessità non più legate solo a un discorso di innovazione e modernizzazione: anche l’ambiente ne guadagnerebbe.