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Cucchi, giudice: "Depistaggi per allontanare sospetti da carabinieri"

Le motivazioni della sentenza del processo sui depistaggi, seguiti al pestaggio e alla morte del 31enne, per cui ci sono state otto condanne

(Fotogramma)
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04 ottobre 2022 | 18.35
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"L'ampia istruttoria dibattimentale ha permesso di ricostruire i fatti contestati e di accertare un'attività di sviamento posta in essere nell'immediatezza della morte di Stefano Cucchi, volta, ad allontanare i sospetti che ricadevano sui carabinieri per evitare le possibili ricadute sul vertice di comando del territorio capitolino". E' quanto scrive il giudice monocratico Roberto Nespeca nelle motivazioni della sentenza del processo sui depistaggi seguiti al pestaggio e alla morte di Stefano Cucchi, il 31enne romano, arrestato il 15 ottobre del 2009 e deceduto sette giorni dopo all'ospedale Sandro Pertini. Per questi fatti, lo scorso 7 aprile sono stati condannati gli otto carabinieri imputati.

In particolare, nel processo nato dall’inchiesta del pm Giovanni Musarò, è stato condannato a 5 anni il generale Alessandro Casarsa, 4 anni per Francesco Cavallo e Luciano Soligo, 2 anni e mezzo per Luca De Cianni, un anno e 9 mesi per Tiziano Testarmata, un anno e 3 mesi per Francesco Di Sano, un anno e tre mesi per Lorenzo Sabatino e un anno e nove mesi per Massimiliano Colombo Labriola. Le accuse contestate agli otto militari dell’Arma, a vario titolo e a seconda delle posizioni, vanno dal falso, al favoreggiamento, all’omessa denuncia e calunnia.

Il giudice monocratico scrive, inoltre, che “le ulteriori condotte realizzate nel 2015, nel contesto delle nuove indagini della Procura della Repubblica di Roma, fossero finalizzate a celare quelle di falso risalenti al 2009 (coinvolgenti il Comandante del Gruppo di allora, il Colonello Alessandro Casarsa e il suo più stretto collaboratore, il tenente Francesco Cavallo in servizio in quel momento presso il Comando Provinciale di Roma, contiguo all'ufficio del Comandante del Reparto Operativo, Colonnello Lorenzo Sabatino), considerata la qualità dei protagonisti e dei rapporti tra alcuni di loro, e che i fatti risalenti al 2018, nel corso del dibattimento del cosiddetto Cucchi bis, avessero lo scopo di svilire la credibilità di Riccardo Casamassima, teste rilevante per l'ipotesi accusatoria”.

"Alla stregua del materiale probatorio in atti, valutato nel suo complesso, deve ritenersi che la falsificazione delle due annotazioni avessero la finalità di allontanare l'attenzione dall'operato dei carabinieri così da evitare qualsiasi coinvolgimento del Comandante del Gruppo Carabinieri Roma, il colonnello Alessandro Casarsa, considerato che l'immagine dell'Arma capitolina era mediaticamente esposta e che già altri militari erano stati coinvolti nei gravi fatti in danno del Presidente della Regione Lazio. Allontanando i sospetti dai carabinieri – si legge - non poteva di certo mettersi in discussione l'azione di comando da parte del vertice del Comando Gruppo Carabinieri Roma la cui figura rischiava di essere quanto meno indebolita dalla vicenda, ancor più dopo i fatti che avevano coinvolto il Presidente della Regione Lazio".

"La versione ufficiale dell'Arma dei Carabinieri sulla morte di Stefano Cucchi era stata 'confezionata' escludendo ogni possibile coinvolgimento dei militari così che l'immagine e la carriera dei vertici territoriali e, in particolare, del comandante del Gruppo Roma, Alessandro Casarsa, non fosse minata" scrive il giudice monocratico. "E' inoltre provato – si legge nelle oltre 400 pagine - che il contenuto delle annotazioni fu modificato, in data 27 ottobre 2009, secondo le indicazioni del Comandante Casarsa, modifiche che erano state sollecitate attraverso il suo 'braccio destro', il colonnello Francesco Cavallo, dal comandante della Compagnia dei Carabinieri Montesacro, Luciano Soligo, da cui dipendeva la Stazione Tor Sapienza, superiore gerarchico dei due firmatari".

"Tutti gli imputati avevano la consapevolezza che, attraverso le condotte da ciascuno posta in essere, si giungeva alla modifica e all'alterazione del contenuto delle annotazioni, consentendo così di rappresentare uno Stefano Cucchi che stava male di suo, perché molto magro, tossicodipendente, epilettico" si legge nelle motivazioni della sentenza. "D'altro canto, si resero necessarie telefonate, colloqui, persino una ricostruzione della scena vissuta da Di Sano, e le modifiche non furono apportate dagli interessati. A Di Sano fu detto 'leggi, firma e poi vediamo se parti'. Tali evenienze - si legge nelle motivazioni della sentenza - complessivamente apprezzate unitamente ai rilievi precedentemente evidenziati, conducono a ritenere che vi furono delle titubanze proprio in ragione della natura illegittima e manifestamente criminosa dell'ordine".

Il generale Alessandro Casarsa, scrive il giudice monocratico, "a dispetto del giuramento prestato e della sua qualità di ufficiale dei carabinieri, con il ruolo di Comandante del Gruppo Carabinieri Roma, ha concepito e determinato le condotte di falso". Il giudice sottolinea "il disegno criminoso riconducibile a Casarsa (condannato a 5 anni, ndr.) e al suo interesse di far apparire Stefano Cucchi come un soggetto in precarie condizioni di salute perché tossicodipendente e affetto da altre patologie così da consentire una ricostruzione alternativa della vicenda, allontanando i sospetti sugli appartenenti all'Arma ed evitare possibili ricadute sulla sua posizione di Comandante del Gruppo Roma”.

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