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Tragedia di Marcinelle 8 agosto 1956, tra le più gravi stragi minerarie al mondo

Morirono 262 minatori, 136 italiani. Tajani alla commemorazione con i Reali del Belgio

(Fotogramma)
(Fotogramma)
08 agosto 2023 | 00.06
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Una delle più gravi tragedie minerarie della storia si verificò l’8 agosto 1956, nella miniera di carbone di Bois du Cazier (appena fuori la cittadina belga di Marcinelle) dove si sviluppò un incendio che causò una strage. Morirono 262 minatori, di cui 136 italiani, per le ustioni, il fumo e i gas tossici. Causa dell’incidente, rivela Focus Cultura Storia, fu un malinteso sui tempi di avvio degli ascensori. Si disse che all’origine del disastro fu un’incomprensione tra i minatori, che dal fondo del pozzo caricavano sul montacarichi i vagoncini con il carbone, e i manovratori in superficie. Il montacarichi, avviato al momento sbagliato, urtò contro una trave d’acciaio, tranciando un cavo dell’alta tensione, una conduttura dell’olio e un tubo dell’aria compressa.

Erano le 8 e 10 quando le scintille causate dal corto circuito fecero incendiare 800 litri di olio in polvere e le strutture in legno del pozzo. L’incendio si estese alle gallerie superiori, mentre sotto, a 1.035 metri sottoterra, i minatori venivano soffocati dal fumo. Solo sette operai riuscirono a risalire. In totale si salvarono in 12. Il 22 agosto, dopo due settimane di ricerche, mentre una fumata nera e acre continuava a uscire dal pozzo sinistrato, uno dei soccorritori che tornava dalle viscere della miniera non poté che lanciare un grido: 'Tutti cadaveri'.

Ci furono due processi, che portarono nel 1964 alla condanna di un ingegnere (a 6 mesi con la condizionale). In ricordo della tragedia, oggi la miniera Bois du Cazier è patrimonio Unesco. La tragedia della miniera di carbone di Marcinelle è soprattutto una tragedia degli italiani immigrati in Belgio nel dopoguerra. Tra il 1946 e il 1956 più di 140mila italiani varcarono le Alpi per andare a lavorare nelle miniere di carbone della Vallonia. Era il prezzo di un accordo tra Italia e Belgio che prevedeva un baratto: l’Italia doveva inviare in Belgio 2mila uomini a settimana e, in cambio dell’afflusso di braccia, Bruxelles si impegnava a fornire a Roma 200 chilogrammi di carbone al giorno per ogni minatore.

L'Italia a quell’epoca soffriva ancora degli strascichi della guerra: 2 milioni di disoccupati e grandi zone ridotte in miseria. Nella parte francofona del Belgio, invece, la mancanza di manodopera nelle miniere di carbone frenava la produzione. Per convincere gli uomini a lavorare nelle miniere belghe, si affiggono in tutta Italia manifesti che presentano unicamente gli aspetti allettanti di questo lavoro (salari elevati, carbone e viaggi in ferrovia gratuiti, assegni familiari, ferie pagate, pensionamento anticipato). In realtà, le condizioni di vita e di lavoro sono veramente dure.

All'arrivo a Bruxelles, comincia lo smistamento verso le differenti miniere, dopodiché i lavoratori vengono accompagnati nei loro 'alloggi', le famose 'cantines': baracche, insomma, o 'hangar', gelidi d'inverno e cocenti d'estate, veri e propri campi di concentramento dove pochi anni prima erano stati sistemati i prigionieri di guerra.

La mancanza di alloggi convenienti, previsti peraltro dall'accordo italo-belga, impedisce alla maggior parte dei minatori il ricongiungimento con la propria famiglia. Trovare un alloggio in affitto è infatti quasi impossibile all'epoca. Senza contare la discriminazione. Spesso sulle porte delle case da affittare, i proprietari scrivono a chiare lettere 'ni animaux, ni etranger' (né animali, né stranieri). Un'integrazione difficile, dunque, a cui si sommano le condizioni di lavoro particolarmente dure e insalubri, nonché le scarse misure di igiene e sicurezza. Tra il 1946 e il 1955, quasi 500 operai italiani trovano così la morte nelle miniere belghe, senza contare il lento flagello delle malattie d'origine professionale. La più pericolosa di queste è la silicosi, causata dalle polveri della miniera che, depositandosi nei polmoni, crea insufficienze respiratorie.

TAJANI ALLA COMMEMORAZIONE

Il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani oggi parteciperà, alla presenza dei Reali del Belgio, alla 67ma commemorazione della tragedia di Marcinelle. È la prima volta che un vicepremier italiano partecipa alla cerimonia che ha luogo ogni anno nella periferia di Charleroi cui solo poche volte, in passato, è intervenuto un nostro ministro degli Esteri. La presenza di Tajani alle celebrazioni è volta a sottolineare l’importanza che il governo attribuisce tanto all’emigrazione storica, quanto a quella dei nostri giorni.

“Il sacrificio dei nostri nonni a Marcinelle e in tanti altri luoghi ci deve rendere orgogliosi per lo straordinario contributo degli emigrati italiani allo sviluppo dei Paesi in cui arrivarono - ha osservato il vicepremier - ma deve farci riflettere anche sulla nuova emigrazione". Secondo Tajani, che ha disposto recentemente anche la riapertura di un Consolato indipendente a Bruxelles per il rafforzamento dei servizi ai cittadini, "i nostri connazionali all’estero sono ambasciatori dell’Italia nel mondo, in quanto sono portatori della nostra cultura e dei nostri valori, così come delle nostre eccellenze imprenditoriali, tecnologiche e scientifiche".

Dopo la commemorazione che avrà luogo al sito della miniera e che si aprirà coi tradizionali 262 rintocchi di campana e proseguirà con un sorvolo di due Tornado dell’Aeronautica Militare italiana, il vicepremier renderà omaggio al Monumento alle vittime. Successivamente, incontrerà una rappresentanza della comunità italiana e assisterà alla presentazione di un progetto scolastico in corso nelle scuole belghe e italiane dal titolo “Belgio Chiama Italia”, finalizzato a una rilettura in chiave attuale della tematica dell’emigrazione e a rafforzare la cultura identitaria nelle nuove generazioni.

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