La procura generale della Corte d'Appello di Roma ha presentato ricorso in Cassazione contro la sentenza di secondo grado del processo per l'omicidio di Serena Mollicone, la 18enne di Arce uccisa nel 2001. Il 12 luglio scorso la Corte d'Assise d'Appello di Roma ha assolto tutti gli imputati: l'ex comandante della caserma dei carabinieri di Arce, Franco Mottola, il figlio Marco e la moglie Anna Maria e i carabinieri, Vincenzo Quatrale e Francesco Suprano, confermando di fatto la sentenza di primo grado. Il ricorso, che era stato annunciato dal procuratore generale presso la Corte d'Appello di Roma, Giuseppe Amato, durante una visita al Tribunale di Cassino, riguarda soltanto i Mottola e non i due carabinieri Quatrale e Suprano.
''Consapevoli che ci si trova in presenza di una cosiddetta 'doppia conforme' sentenza di assoluzione'', si legge nel ricorso, ''qui si vuole, potendolo fare, censurare la decisione liberatoria perché il giudice di Appello è incorso non tanto e non solo in evidenti carenze motivazionali, ma, di più, ha reso una motivazione solo apparente per non aver espresso un ragionamento intrinsecamente coerente e una valutazione argomentata degli elementi di prova (compresi quelli, nuovi, emersi in secondo grado) e per non avere esaminato le argomentazioni contrarie avanzate dalla procura generale sostenendone, eventualmente, l'infondatezza, l'indifferenza o la superfluità''.
''La mancanza di valutazione degli argomenti portati dall'accusa e, in alcuni casi, la mancanza di valutazione tout court'', spiega il ricorso firmato dal sostituto procuratore generale Deborah Landolfi, ''risulta evidente ove si consideri che il giudice, pur riconoscendo la valenza accusatoria degli elementi, non solo dichiarativi, acquisiti in atti, ne ha neutralizzato la rilevanza senza una spiegazione logica e comprensibile, limitandosi a considerazioni meramente assertive, senza valorizzazione di ipotesi alternative concretamente sostenibili''.
Nel ricorso si fa riferimento tra l'altro alle ''dichiarazioni acquisite in atti provenienti dal brigadiere Tuzi, che collocano inequivocabilmente la vittima nella caserma dei Carabinieri il giorno dell'omicidio''.
''Sono dichiarazioni cui la Corte attribuisce una intrinseca attendibilità, corroborata dal rilievo che tali dichiarazioni forniscono 'un tassello rilevante per la ricostruzione della vicenda' - scrive Landolfi - Ma da tale assunto la Corte non trae conseguenze coerenti in punto di responsabilità. E ciò fa non valorizzando concreti elementi di segno contrario, bensì limitandosi a considerare il dato aspecifico ed anzi non più attuale, perché contrastato dagli approfondimenti investigativi, della primigenia richiesta di archiviazione''. (di Giorgia Sodaro)