L'autodifesa di Maniscaldi in aula, le accuse del legale dei figli del giudice: "Sapevate e avete taciuto"
(dall'inviata Elvira Terranova) - Per la Procura di Caltanissetta i quattro poliziotti che facevano parte del Gruppo investigativo ‘Falcone e Borsellino’, e che oggi sono imputati per depistaggio sulle indagini sulla strage di via D’Amelio, nel corso dei processi, sono stati “reticenti” e “in malafede”, hanno “reso false dichiarazioni”, con l’obiettivo di “inquinamento probatorio”. Maurizio Zerilli, Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi e Angelo Tedesco, oggi sessantenni, rischiano il processo depistaggio per aver mentito, secondo l’accusa, al processo in cui si cercava la verità sul falso pentito Vincenzo Scarantino. Non usa mezzi termini il pm Maurizio Bonaccorso nella discussione davanti al gup di Caltanissetta, David Salvucci. Una discussione durata quasi due ore in cui il magistrato, che tra pochi giorni lascerà la Procura di Caltanissetta per fare ritorno a Palermo, elenca le contestazioni ai quattro poliziotti, tutti presenti in aula. Per ribadire, alla fine,la richiesta di rinvio a giudizio. “Agli imputati vengono contestate una serie di condotte che si concretizzano in false dichiarazioni e reticenze, secondo l’impostazione accusatorie mascherate da ‘non ricordo’. A parte dei singoli casi di false dichiarazioni e reticenze che si riferiscono a episodi specifici, singoli, ad esempio quella è la falsa dichiarazione di Di Gangi a proposito della pistola puntata a Vincenzo Scarantino, quando ci fu la famosa colluttazione dopo la ritrattazione televisiva, tutte la altre false dichiarazioni, tutte le altre reticenze mascherate da ‘non ricordo’ si riferiscono a momenti scuri dell’attività investigativa del Gruppo Falcone e Borsellino che, secondo la tesi accusatoria, rappresentano dei momenti fondamentali nell’attività di inquinamento probatorio”, dice.
"Per comprendere quello che è l’atteggiamento psicologico dei testi che sono venuti qui a deporre, testi coinvolti in quelle indagini, occorre procedere a una analisi di questi momenti che sono scottanti”, dice ancora Bonaccorso. “E c'è una proporzionalità diretta dei ‘non ricordo’, che sono tantissimi, che sono stati tutti cristallizzati nei capi di imputazione- prosegue il pm Bonaccorso- C’è un rapporto di proporzionalità diretta tra la maggiore connotazione negativa di questa attività di indagine è il numero dei ‘non ricordo’. Questo perché c’è la percezione di muoversi in un campo minato dove una risposta sbagliata può avere conseguenze devastanti. Il dato su cui bisogna riflettere, e ora farò un esempio diretto, progressioni dichiarative nel corso degli anni dei testimoni che venivano a deporre in qualità di appartenenti al Gruppo Falcone e Borsellino. Per comprendere a pieno l’atteggiamento di assoluta malafede dei testimoni che hanno fatto parte del Gruppo Falcone e Borsellino, nel processo Borsellino quater e depistaggio, sarebbe opportuna una analisi completa della evoluzione dei processi che si sono celebrati Noi abbiamo un prima e dopo, un avanti Spatuzza e dopo Spatuzza. Abbiamo Borsellino uno, bis e ter prima di Spatuzza e dopo Spatuzza abbiamo il Borsellino quater e depistaggio. Se andiamo ad esaminare le dichiarazioni dei poliziotti nei primi tre tronconi quando ancora non si era il smantellato il castello di menzogne, abbiamo dei testimoni tranquilli e sereni che rendono dichiarazioni che dopo scopriremo essere totalmente false”.
Subito dopo tocca all’avvocato di parte civile, Fabio Trizzino, che rappresenta i figli del giudice Paolo Borsellino. Trizzino è anche il figlio di Lucia Borsellino, figlia maggiore del magistrato ucciso in via D’Amelio. “Avete visto che stavano creando il mostro (Scarantino ndr) e avete taciuto. Poi, quando finalmente l’impostura si è disvelata, dovevate darci una mano. Dovevate dirci quello che avete visto, quello che i vostri colleghi hanno commesso. Alcuni hanno mentito in maniera spudorata. Abbiamo assistito a momenti in cui avete umiliato i vostri colleghi, la memoria dei vostri colleghi”. Rivolgendosi direttamente ai 4 poliziotti imputati per il depistaggio sulle indagini sulla strage di via D’Amelio, l’avvocato Fabio Trizzino, che rappresenta i figli del giudice insieme con l’avvocato Vincenzo Greco, ha chiesto al gup di Caltanissetta David Salvucci il rinvio a giudizio per i quattro poliziotti accusati del depistaggio.
“Chi ha partorito il depistaggio lo ha fatto nel momento in cui ha deciso di accelerare la strage- dice il legale - L’agenda rossa non l’hanno presa né Zerilli né Di Gangi o Maniscaldi. E’ stata fatta sparire da chi aveva da temere qualcosa. Però non ci avete aiutato, ci avete umiliato. E questo a mio giudizio è grave. Vi siete accorti e avete coperto”. Per Trizzino il depistaggio “è iniziato alle 17 del 19 luglio 1992. Loro sono stati chiamati a fare parte di un abominio. Ciascuno è entrato, ha fatto il suo. Siccome sono validi poliziotti, sono convinto che si sono resi conto di quello che stava accadendo. Hanno in un primo momento taciuto, durante il primo, secondo e terzo dibattimento. In qualche modo è comprensibile il loro atteggiamento”. E ancora: “Ho avuto la sensazione che loro vivessero questi processi come una somma ingiustizia in ragione del fatto che coloro che li dovevano dirigere nel corso delle indagini, sono stati semplicemente sfiorati e non coinvolti per come era necessario quantomeno con riferimento alla figura di Giovanni Tinebra (ex Procuratore di Caltanissetta ndr), Carmelo Petralia e Annamaria Palma (ex pm di Caltanissetta ndr). Ma questo non li giustifica”. Rivolgendosi ancora ai poliziotti imputati dice: “Avete taciuto durante il processo bis quando è venuto fui il problema dell’indottrinamento a Scarantino. Con una sentenza aberrante i giudici del secondo grado hanno trasformato in una attività meritoria quella di Mattei e Ribaudo. Che Scarantino fosse antropologicamente inadeguato, ad avere avuto qualche ruolo nella esecuzione di una strage, per la vostra esperienza investigativa lo sapevate”.
Poco prima, uno dei 4 imputati, Vincenzo Maniscaldi, oggi in pensione, chiede di rendere dichiarazioni spontanee e di essere esaminato. Mette subito in chiaro: “Non ho reso false dichiarazioni" durante il processo a Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, i tre poliziotti accusati di concorso in calunnia aggravata dall'avere favorito Cosa nostra. Sono quattro le condotte che vengono contestate a Maniscaldi. Come ricorda il suo legale, l'avvocato Giuseppe Panepinto, nel corso dell’esame di Maniscaldi il poliziotto avrebbe dichiarato il falso nel corso dell'udienza dibattimentale a carico di Bo "nel momento in cui Giuseppe Orofino avrebbe riferito al Tribunale che già alla data del 10 agosto 1992 avrebbe denunciato lo smarrimento del documento della 126". Orofino venne arrestato nel 1993, poi condannato in via definitiva e quindi assolto nel processo di revisione nel 2017. Ad accusare il carrozziere e altre 6 persone era stato il falso pentito Vincenzo Scarantino che si era autoaccusato di avere partecipato alla strage insieme a Salvatore Candura, anche lui calunniatore. Secondo l'accusa iniziale, supportata dalle indagini del gruppo di investigatori Falcone-Borsellino capitanato da Arnaldo La Barbera, Orofino avrebbe fornito una targa pulita per la 126 rubata - che avrebbe anche tenuto nella sua officina - utilizzata come autobomba in via Mariano D'Amelio a Palermo il 19 luglio 1992 per uccidere il procuratore aggiunto Paolo Borsellino e gli agenti della Polizia di Stato Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
L'avvocato Panepinto ha poi ricordato la seconda contestazione a Maniscaldi: "Nell'ambito dello stesso procedimento penale avrebbe dichiarato falsamente che i brogliacci della trascrizione dell'intercettazione telefonica presso l'abitazione di Vincenzo Scarantino a San Bartolomeo al Mare, avrebbe dichiarato falsamente che dovevano essere sottoscritti i brogliacci anche da un ufficiale di Polizia giudiziaria che non aveva partecipato all'ascolto". "Era una frase di considerazione generale- spiega Mansicaldi - ho dato la mia idea che poteva succedere, perché succedeva molto spesso anche alla Squadra mobile di Palermo. Perché prima di andare al gruppo 'Falcone e Borsellino' mi capitava che il collega si dimenticasse di mettere una firma". Poi Vincenzo Maniscaldi ha parlato del funzionamento della sala d'ascolto per ascoltare le conversazioni di Scarantino, che da poco aveva iniziato a collaborare con i magistrati. "Era una prevenzione, non era un servizio importante. Lui poteva solo fare telefonate ma non riceverle. Noi non sapevamo quando telefonava e a chi telefonasse". Alla domanda dell'avvocato Giuseppe Panepinto su chi facesse l'attività per le intercettazioni presso l'abitazione di Vincenzo Scarantino, Maniscaldi risponde: "A volte saliva l'operatore e diceva: ci sono delle telefonate. L'attività di ascolto la faceva l'ufficiale e non l'agente". E aggiunge: "Non avevamo una presenza fissa nella sala d'ascolto ma ci recavamo saltuariamente. La mattina accompagnavamo i figli di Scarantino a scuola e poi passavamo alla sala ascolto, se c'erano telefonate le ascoltavamo”. Però tiene a precisare che il “22 e il 23 giugno del 1995” era a Palermo, quando secondo l’accusa ci sarebbero state delle ‘anomalie’ sul telefono di Scarantino. “Io arrivo a Imperia solo il 24 giugno – spiega - e ascolto e verifico le telefonate di Scarantino avvenute in precedenza”. Secondo l’accusa nei giorni precedenti si sarebbero verificate delle anomalie, persino delle ‘manomissioni’. Poi Maniscaldi, visibilmente emozionato, aggiunge: “Non ho mai travisato né travisato niente".
A inizio udienza a intervenire è l’avvocato dello Stato Giuseppe La Spina,m che chiede l’esclusione della Presidenza del Consiglio e del Viminale dalla responsabilità civile. "La Presidenza del Consiglio non può essere chiamata come responsabile civile perché non vi sono appartenenti alla Presidenza del Consiglio, non vi sono lavoratori, manca il nesso di immedesimazione organica. L'articolo 538 del Codice di procedura penale impone la condanna in solido del responsabile civile solo quando c'è un imputato la cui attività può essere riferita alla responsabilità civile. La citazione va ritenuta nulla per difetto dei requisiti", dice. Il legale ha anche chiesto l'esclusione di responsabilità civile del Ministero dell'Interno. Il giudice per le udienze preliminari del Tribunale di Caltanissetta, David Salvucci, ha citato invece nella scorsa udienza la Presidenza del Consiglio e il Ministero dell'Interno quali responsabili civili. Nell'ambito di un troncone dell'inchiesta sul depistaggio, in sede di udienza preliminare, si sono costituiti parte civile i figli di Borsellino, Manfredi, Lucia e Fiammetta, rappresentati dagli avvocati Vincenzo Greco e Fabio Trizzino. Sono state, invece, rigettate tutte le altre richieste avanzate di costituzione come parte civile dai parenti delle vittime della strage di via D'Amelio, dal poliziotto Antonio Vullo, l'unico superstite della strage, e da Salvatore Borsellino, fratello del giudice. Gli imputati sono gli agenti Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi, Angelo Tedesco e Maurizio Zerilli, già parte del pool investigativo ''Falcone Borsellino’ difesi dagli avvocati Giuseppe Panepinto, Giuseppe Seminara e Maria Giambra. Gli imputati sono tutti presenti in aula. "Le funzioni della Polizia Giudiziaria sono subordinate all'ufficio del Pubblico ministero. Deposito la documentazione dei decreti di istituzione del Gruppo Falcone e Borsellino il primo decreto da conto che si tratta di un organo ad hoc che avrà funzioni di polizia giudiziaria". Per l'avvocato di parte civile, Fabio Trizzino, che rappresenta i figli del giudice, la Presidenza del Consiglio "è responsabile civile". Ma il Gip non accoglie la richiesta dell'Avvocatura dello Stato. Viminale e Presidenza del Consiglio restano responsabili civili. Prossima udienza il 13 novembre.