Di Giannantonio (Sip) sul caso della mamma catanese che ha confessato il delitto: "Non accade mai per caso, occorrerà scavare nella sofferenza e nel disagio non colti"
"Un figlicidio è il cortocircuito più drammatico di ciò che può accadere nella mente di un essere umano, in particolar modo di un essere umano di sesso femminile, di una madre. Ed è sempre bene dire che di solito queste vicende non avvengono mai per caso, mai da un minuto all'altro, mai senza nessuna indicazione pregressa. Suonano come un monito per la società. Per andare a vedere gli elementi che indicavano una sofferenza e un disagio così gravi, elementi che certamente esistevano e certamente non sono stati colti, occorrerà scavare nella storia del passato prossimo, oltre che del passato remoto di questa donna", la mamma di Elena Del Pozzo, 5 anni, trovata morta nel Catanese dopo che la donna stessa, Martina Patti, 23 anni, ha indicato alle forze dell'ordine dove rinvenire il corpicino. E' l'analisi di Massimo Di Giannantonio, presidente della Società italiana di psichiatria (Sip).
L'esperto prova a spiegare all'Adnkronos Salute cosa può succedere nella mente di una mamma che arriva a compiere un gesto inimmaginabile: "La relazione fondante dell'esistenza è la relazione tra la madre e il figlio. Quando questa relazione fallisce, diventa distruttiva, drammatica e arriva al figlicidio, è come se si compisse la rivoluzione, la tragedia, la costruzione del nonsenso più grave dell'essere umano. Per comprendere meglio quali possono essere le ragioni di una tragedia di questa dimensione, dobbiamo ricorrere a due categorie: quella della psicopatologia e quella dell'evento che scatena la psicopatologia".
E quindi "nella storia di questa donna" andrà ricostruito "quali sono le tappe del neurosviluppo, quali sono i traumi subiti, quali le complicanze ambientali, familiari, sociali, economiche che ne hanno determinato una condizione così grave di discontrollo degli impulsi e di incapacità a reggere il rapporto con la realtà e quindi con lo stesso frutto del proprio grembo, che tipo di psicopatologia nella storia evolutiva questa donna ha subito. E poi qual è il trigger, l'elemento finale drammatico che ha scardinato i controlli, ha annullato la razionalità e portato a questo gesto estremo. Questo è il lavoro dello psicopatologo, del tecnico della sofferenza psichica dell'uomo", spiega l'esperto. Ma Di Giannantonio punta l'attenzione anche su un altro elemento doloroso di questa storia.
A colpire lo psichiatra è il fatto che "questa persona ha inventato delle scuse, ha accusato falsamente tre personaggi, ha pensato di occultare le prove e deviare il corso delle indagini". Per capire perché "dobbiamo entrare nel mondo delirante del senso di colpa, del tentativo di allontanare da sé il dolore e la percezione drammatica dell'enormità del gesto compiuto, che però, di fronte a delle contestazioni del mondo della realtà - l'interrogatorio degli inquirenti, gli elementi di tracce filmate, testimonianze di persone, contraddizioni nelle dichiarazioni - hanno reso immediata la confessione. E' come se - analizza Di Giannantonio - il peso della colpa e il peso insostenibile del gesto drammatico compiuto abbiano portato a una confessione che diventa una richiesta di punizione e di condanna".
Quello che è successo è qualcosa di "così enorme" che questa persona "pagherà per sempre", osserva l'esperto che solleva anche il tema del ruolo protettivo che la società può avere. "Occorre dire anche che la gravidanza per una donna è una sfida drammatica al suo assetto neurobiologico, neuropsichico e interpersonale e intrapersonale. Bisognerà porre un'attenzione maggiorata a quelle che possono essere le conseguenze di traumi, cambiamenti e paure delle quali molto spesso queste persone non hanno un'interlocuzione né corretta né adeguata", conclude.