Per il direttore della fondazione cattolica Alessandro Monteduro, "la pace va conseguita non guardando ai nostri interessi ma per quel popolo che è legittimo definire martoriato"
"E' triste dirlo: già a maggio ho percepito come ci fosse una sorta di assuefazione al conflitto. Oggi, dopo più di sei mesi dall'inizio della guerra, quel processo di assuefazione si è andato consolidando: il popolo ucraino si è abituato e quel conflitto, che in realtà è iniziato nel 2014 in un'area territoriale più limitata, e ora viene inteso come una prosecuzione, ma su un territorio molto più ampio". Lo ha dichiarato all'Adnkronos il direttore ella Fondazione cattolica 'Aiuto alla Chiesa che Soffre' Alessandro Monteduro, spiegando che "questo è il grande timore che ho percepito interloquendo a maggio con le autorità religiose, ma anche civili, militari e politiche ucraine ovvero l'idea che la fine di questa guerra si possa trascinare nel tempo, anche per anni, come una sorta di sostanziale abitudine o assuefazione, sia da parte della popolazione ucraina che da parte dei Paesi che indirettamente si sono visti coinvolti nel processo bellico. Dal momento che nessun processo negoziale per la pace è alle porte, nulla esclude che fra un anno o anche di più non ci si possa ritrovare a commentare con gli stessi toni e contenuti quanto sta avvenendo in Ucraina, con la sola differenza che probabilmente ci sarà sempre più minore attenzione mediatica su ciò che sta realmente accadendo".
La soluzione più opportuna per giungere alla pace, secondo Monteduro, è "quella delineata dalla Santa Sede, profondendo ogni sforzo possibile e sempre con maggiore impegno affinché si trovi un canale di dialogo fra le controparti. E' difficilissimo, ne siamo consapevoli, perché il popolo ucraino è orgoglioso e patriottico e allo stato non intende concedere alcun territorio alla Federazione Russa, neanche quelli che la Russia considera annessi dal 2014. Ci vuole un grandissimo sforzo internazionale perché le due parti si ritrovino attorno a un tavolo. Sarebbe fondamentale che si avviasse un processo di pace. E non dobbiamo commettere l'errore di guardare dai nostri Paesi, in modo egoistico, pensando agli effetti della crisi che toccano anche noi. Dobbiamo invece ragionare tenendo presente che va conseguita la pace non per i nostri interessi ma per quel popolo che dopo sei mesi è legittimo definire martoriato".
"Dai rappresentanti delle due chiese cattoliche presenti in Ucraina - aggiunge Monteduro - ricevo una costante descrizione, purtroppo senza novità particolari, di profonda difficoltà. E' vero che alcune centinaia di migliaia di persone, che avevano trovato rifugio soprattutto in Polonia, hanno deciso di rientrare in Ucraina per ricomporre il proprio nucleo familiare, dato che in alcune aree, come in quella di Kiev, non si ravvisano più particolari condizioni di insicurezza. Continua tuttavia a esserci una situazione di difficoltà e di sofferenza, anzitutto perché sono tuttora milioni gli sfollati interni, in buona parte accolti dalle organizzazioni non governative e dalle organizzazioni religiose territoriali. Questo significa che ogni parrocchia e ogni luogo che può fare riferimento alle strutture ecclesiastiche è stato trasformato in un luogo di accoglienza per la parte più sofferente della popolazione. Da parte nostra - conclude il direttore di 'Aiuto alla Chiesa che Soffre' - continuiamo a sostenere le due chiese cattoliche presenti in Ucraina affinché possano a loro volta sostenere le necessità della popolazione in fuga dal conflitto".
(di Cristiano Camera)